Mattarellum, il governo giallo-rosso avrà vita breve

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse in foto Nicola Zingaretti

Dopo giorni di febbrili consultazioni, dichiarazioni contraddittorie e false come i soldi del Monopoli, claudicanti propositi di cambiamento e allarmi farlocchi su un presunto stato di necessità generato dall’incombente pericolo che la destra potesse conquistare il potere assoluto, ecco finalmente varato il nuovo governo: lo hanno chiamato “giallorosso”, dall’unione del rosso Pd col giallo dei 5 Stelle. Un accordo di potere che i dietrologi hanno fatto risalire ad intese pregresse tra Fico e Franceschini, quest’ultimo assurto ancora una volta al ruolo di Ministro. Molte le poltrone assegnate a gente nuova e sprovveduta il che fa pensare che l’esecutivo possa durare poco e che le riforme attese in nome dello sbandierato cambiamento, non saranno mai attuate. Il primo ministro di questo “guazzabuglio” è Giuseppe Conte che, primo in Italia, si troverà a guidare due governi consecutivi con maggioranze politiche differenti se non addirittura contrapposte. Si proprio quello che veniva definito il “Re travicello”: un vaso di terracotta tra due vasi di ferro (Salvini e Di Maio). Attenzione: non un avvocato assurto, all’improvviso, alla notorietà ed al potere grazie ad una buona dose di fortuna. Basta guardare nelle pieghe del suo passato per scorgere che il suo nome fu “suggerito” per la prima volta dal Pd, nel 2013, come componente del Consiglio di Giustizia Amministrativa, prima che Conte diventasse attivista e sostenitore del movimento grillino. Insomma un personaggio ben addentrato, con una pluralità di rapporti di alto profilo, facile a promettersi e disponibile ad interpretare il cosiddetto “nuovo che avanza”. Nel giro di pochi giorni l’ineffabile premier ha recitato molti ruoli rimangiandosi con leggiadria quando aveva concordato e legiferato con Salvini in materia di immigrati e sicurezza dei cittadini. Insomma un presidente del Consiglio interprete del regime di qualunquismo e di populismo, che ha caratterizzato il precedente esecutivo. Come degno emulo di Conte, ecco “Giggino” Di Maio che pure – gli va dato atto – si è battuto come un leone per non fare l’accordo col Pd, finanche ribellandosi a Beppe Grillo, suo antico mentore. Negatagli la poltrona di vicepremier, ecco materializzarsi per lui, che pure è a digiuno di un’adeguata cultura ed esperienza internazionale, la nomina a Ministro degli Esteri, chiamato a svolgere mansioni politiche e di rappresentanza degli interessi italiani nel mondo. La Sinistra di Leu? Quasi agonizzante alle elezioni, ha incassato il dicastero della Salute ove rinforzerà il monopolio statale ed i suoi sperperi, giocando sull’antico equivoco che contrabbanda la sanità pubblica e la sanità statale. Chi potrà mai spiegare al comunista Speranza che un servizio pubblico è tale perché accessibile a tutti, è gratuito per chi ne ha diritto e non coincide necessariamente col monopolio di gestione dello Stato fatto di privilegi e di vantaggi in grado di assicurare clienti alla sanità statale per legge e non per scelta di qualità dell’utente? Un esempio di scuola, quello della gestione statale, che caratterizzerà il governo più a sinistra della storia, in un momento in cui da più parti si invoca il liberalismo per trasformare la “macchina Italia” in qualcosa di più efficiente e meno costoso. Una sinistra che giunge al potere ancora una volta senza essere stata premiata dal voto, paradossalmente in nome della democrazia minacciata da una destra che invece vola nei sondaggi e contro la quale ogni espediente è utile pur di impedirle di essere votata. L’esangue Capo dello Stato ha pagato il debito con Renzi, il Pd e la Sinistra che lo imposero al Quirinale nonostante il patto politico del Nazareno, preferendolo a Giuliano Amato. L’inquilino del Colle ha finto di non vedere la commedia pirandelliana messa in scena dai suoi interlocutori. Ha assorbito incurante finanche la pantomima finale della piattaforma Rousseau. L’inventore del sistema elettorale maggioritario chiamato col suo nome, non ha mai profferito una parola sulla causa vera e prima del caos parlamentare e dei governi alla rinfusa di questi anni, ovvero contro il sistema proporzionale. Il custode degli interessi della Nazione, ha finto d’essersi distratto e non ha avvisato nessuno che ci stiamo avviamo verso un nuovo esecutivo degli antipodi politici e dei contrapposti elettorali. Una miscela esplosiva in un Paese, il nostro, sempre più debole sotto il profilo del risanamento economico e dell’autorevolezza tra i partner internazionali. Un patrimonio che non potrà essere recuperato da un governo varato per far dispetto a Salvini e negando al popolo di potersi legittimamente e chiaramente esprimere su chi debba governarlo. Una brutta pagina di storia patria, che macchierà il settennato del canuto, ma non candido, Mattarella.

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