La sentenza con la quale è stato condannato Mario Landolfi, leader, per molti anni, della destra casertana, ha il sapore del verdetto pilatesco. In attesa di conoscere le motivazioni del dispositivo con il quale – dopo circa dieci anni di indagini e attività processuale – sono stati inflitti due anni di carcere (con i benefici di legge, sospensione della pena e senza menzione della condanna), per corruzione, all’ex ministro del governo Berlusconi, è bene sottolineare come Landolfi sia stato assolto, con formula piena, dalle accuse di truffa e di concorso esterno in associazione camorristica. Stiamo parlando di quel famoso articolo 7 della legge che impone, quasi sempre, la carcerazione preventiva, e ribalta sull’accusato l’onere di dover confutare le dichiarazioni del pentito di turno. Inverte cioè uno dei cardini del diritto penale: quello che sia chi accusa – il pubblico ministero – ad assumere l’onere di dover dimostrare che l’accusa è fondata. Sì, proprio quel pm che (come nel caso di Landolfi), ha avuto in gestione diretta gli stessi pentiti utilizzati per sostenere, spesso apoditticamente, l’accusa utilizzando l’espediente che più dichiarazioni acquisite costituiscano una prova. Inutile ricordare che il concorso esterno è un reato costruito sulla giurisprudenza che si è consolidata nel tempo attraverso le sentenze emesse dai magistrati, ovvero un reato non previsto dal codice penale e neanche tipizzato nelle fattispecie nelle quali ricorre e può essere utilizzato. Processi, per capirci, come quello di Landolfi, impostati su elementi impalpabili, alimentati più dal clamore della stampa che da un castello accusatorio basato su riscontri reali e fattuali. Per dirla tutta: si tratta di reati costruiti, ipotizzati e creduti veri. Perseguiti sulla base di sentenze che gli stessi magistrati hanno elaborato per costituire e rendere efficace un reato extra codice. Un modus operandi, questo, che agevola il compito dei pubblici ministeri “aiutandoli” ad esercitare un potere para-politico per eliminare dalla scena, con clamore di gogna, persone ritenute sospette di collusione con la malavita e che da questa traggono consensi elettorali, nella maggior parte dei casi di segno politico avverso alla sinistra. Quasi sempre è un modo di agire tipico di quella parte di magistratura, detta “democratica”, che ritiene di poter utilizzare la giurisdizione anche come uno strumento di lotta politica, di riscatto e parificazione sociale. Non più, dunque, il giudice sereno, inquirente o giudicante, che basa sulle prove e sui riscontri il proprio convincimento, ma il togato che invece attinge dalle parole – interessate ai benefici di legge – dei pentiti i fatti che poi mischia con i propri pregiudizi politici e sociali. Un potere che quindi è fuori dal diritto e dalla tutela che questi riserva al cittadino, che ammanta come rispetto della propria indipendenza il libero arbitrio di perseguire gli imputati in base a prove aleatorie se non a vere e proprie antipatie politiche. Non è certo un caso unico quello dell’ex Procuratore della Repubblica Mancuso che oggi, in qualità di dirigente del Pd, osa definire tutta la classe dirigente della Dc collusa con la malavita organizzata, trasformando il partito che fu di Sturzo, De Gasperi e Moro, in una cosca mafiosa. L’idiozia politica di un simile giudizio è palese ma ancor più grave è che questo signore abbia per decenni imbastito processi ai politici, avendo una simile tara ideologica che certamente ne avrà minato l’imparzialità di giudizio. Non è l’unico e non è il solo ad aver agito con il pregiudizio e l’avversione. Mario Landolfi, come Nicola Cosentino, è stato completamente scagionato da ogni accusa di collusione con la malavita anche se molti giornali continuano a fingere di ignorarlo. Sia lui che Cosentino sono stati finora condannati per reati pressoché inconsistenti e certamente non infamanti come l’essere “camorristi”, e per questo esposti al pubblico ludibrio per anni. Entrambi erano ai vertici regionali del Popolo della Libertà in Campania e nel 2008, alle politiche, raggiunsero un risultato strabiliante di consensi col 51% dei voti. Neanche la Dc degasperiana arrivò a tanto il 18 aprile del 1948! Cosentino e Landolfi sono stati eliminati dalla scena politica con l’infamia di accuse terribili. Non furono i soli. Altri innocenti, infatti, nel Centrodestra casertano, patirono il carcere!! Ora le tinte fosche spariscono, le condanne sono miti e, via via, cancellate dai successivi gradi di giudizio. Ma il danno alla democrazia resta ed é incancellabile come l’onta che hanno subito due galantuomini che hanno avuto il torto di essersi dimostrati capaci di ottenere consensi in politica e chiudere la stagione del dominio bassoliniano in Campania. Ci sarà anche per loro un giudice a Berlino?