Le rivelazioni del quotidiano “La Verità” sull’inchiesta dei magistrati Ielo e Dall’Olio
Un sistema truffaldino finalizzato a danneggiare l’Inps e lo Stato, messo in atto dai dirigenti del Gruppo Gedi alla vigilia del “passaggio di cantiere” dalla famiglia di Carlo De Benedetti a quella degli Agnelli/Elkann. E’ stato il quotidiano La Verità, con un’inchiesta pubblicata in esclusiva e condotta dal cronista Giacomo Amadori, a rivelare i dettagli dell’inchiesta sul “Sistema Repubblica”, condotta dai magistrati romani Paolo Ielo (procuratore aggiunto) e Francesco Dall’Olio (pubblico ministero).
I vertici Gedi indagati e i 38 milioni di euro sequestrati
Un sistema attraverso il quale l’azienda è riuscita a prepensionare 80 dipendenti a un’età media di circa 54 anni. Al momento sarebbero 101 le persone coinvolte, due delle quali decedute negli anni scorsi. L’indagine è già culminata nel sequestro di circa 38 milioni di euro, con un provvedimento che porta la data dello scorso 9 dicembre. Tra gli iscritti nel registro degli indagati circa 80 dipendenti prepensionati, tra i quali 16 dirigenti, ben 17 manager (sul capo dei quali pende il sospetto di truffa), 6 sindacalisti, la maggior parte dei quali della Cgil, due dipendenti dell’Inps “infedeli” e altri.
Le ipotesi di reato: truffa e accesso abusivo a sistema informatico
Formulate a vario titolo le ipotesi di truffa ai danni dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico e altre tipologie di reato. Un meccanismo perverso attraverso il quale il gruppo Gedi avrebbe risparmiato circa 40 milioni di euro per il personale. I magistrati hanno cercato il “malloppo” nelle casse delle società del gruppo, dalla holding Gedi alla concessionaria della pubblicità (la Manzoni SpA), da Elemedia alle piccole società satellite.
I nomi eccellenti
Nell’elenco delle persone indagate figurano nomi eccellenti. C’è l’ex amministratore delegato del gruppo, la nota Monica Mondardini, il capo delle risorse umane Roberto Moro, il suo vice Romeo Marrocchio e il direttore generale della divisione Stampa Nazionale Corrado Corradi.
La Finanza è ancora al lavoro
I magistrati inquirenti avevano fatto richiesta di sequestro di altri 22 milioni di euro, corrispondenti all’ammontare complessivo degli assegni previdenziali corrisposti in violazione della legge. Soldi da congelare direttamente sui conti correnti degli indagati. Il giudice per le indagini preliminari Andrea Fanelli, però, ha respinto la richiesta perché ritiene che il profitto illecito, in realtà, sia solo quello corrispondente alle pensioni nette. I reati, però, secondo il Gip sarebbero stati comunque consumati, per cui ha chiesto alla Finanza di quantificare i vantaggi illecitamente conseguiti.
Prepensionamenti illegali, trasferimenti fittizi e riscatti illegittimi
Quanto alle condotte illecite ipotizzate, c’è innanzitutto la dequalificazione dei dirigenti, finalizzata a far sì che questi rientrassero nei parametri di legge per poter accedere al prepensionamento. Non solo. Ci sarebbero stati anche dei riscatti di annualità lavorative fittizie, a spese dell’azienda. Inoltre alcuni dipendenti prepensionati sarebbero stati “riciclati” nelle stesse società del gruppo. Inoltre sarebbero stati simulati trasferimenti di unità lavorative, allo scopo di “infilarle” nei meccanismi agevolativi previsti per le diverse società o per le diverse sedi del gruppo imprenditoriale.
I “gravi indizi di reità”
Insomma, se le ipotesi di reato dovessero essere confermate, si potrebbe ben parlare di un “sistema organizzato” allo scopo di succhiare illegalmente risorse economiche allo Stato per avvantaggiare le attività imprenditoriali facenti capo alla famiglia De Benedetti. Nelle carte dell’inchiesta si legge di “gravi indizi di reità” nei confronti di 83 persone: 16 dirigenti, 44 dipendenti (per il riscatto di periodi contributivi), altri 20 dipendenti trasferiti solo “sulla carta” e tre prepensionati e poi “ricollocati” come esterni.
I controlli mai effettuati
Il giudice nota, in particolare, come la Mondardini abbia perseverato nelle attività illecite anche dopo la nomina della nuova ad Laura Cioli e il suo passaggio alla Cir, la cassaforte della famiglia De Benedetti. Moro avrebbe addirittura confermato, telefonicamente, la sua determinazione in tal senso alla Cioli. Addirittura i dirigenti avrebbero ostacolato i controlli, mentre l’Organismo di Vigilanza si sarebbe voltato dall’altra parte anche dopo aver avuto notizia degli avvisi di garanzia, affidando i controlli interni alla stessa Mondardini.
Il motivo delle mancate indagini sulla “proprietà”
Secondo la responsabile del controllo di gestione del gruppo Michela Marani, “la proprietà”, ovvero gli azionisti Carlo e Rodolfo De Benedetti (non indagati), era consapevole dei dettagli del piano di “ristrutturazione”, ovvero di riduzione dei costi per il personale, al quale avrebbero dato impulso. I ricchi imprenditori, però, non sarebbero stati a conoscenza dei metodi illegali con i quali il piano sarebbe stato attuato.
I risparmi per il gruppo
Insomma, i principali beneficiari dei vantaggi derivanti dalle condotte illecite degli indagati potrebbero non essere stati messi a conoscenza delle truffe messe in atto per realizzarli. “Negli anni di maggior flessione del fatturato del settore editoria […] si rileva comunque un consistente utile […]. Il gruppo ha distribuito utili agli azionisti per 54 milioni di euro”.