Livorno, 11 apr. (LaPresse) – Sette persone finite agli arresti domiciliari e complessivamente quaranta indagati per l’emissione e l’utilizzo di fatture false per oltre 40 milioni di euro; sequestrati beni per oltre 3 milioni di euro su conti correnti, immobili, denaro, auto e quote societarie di 4 imprese e altrettanti indagati. Sono i numeri dell’operazione ‘Olympus’, condotta dalla guardia di finanza di Livorno nell’ambito di un’inchiesta della procura livornese su presunte frodi fiscali nel settore del trasporto internazionale di merci. Per 8 indagati, tra i quali i sette finiti agli arresti domiciliari, tutti imprenditori livornesi, è stata contestata anche l’associazione a delinquere.
Le indagini hanno consentito di individuare tre presunte imprese ‘cartiere’, senza un’effettiva capacità patrimoniale, intestate a prestanome che emettevano fatture relative a operazioni in tutto o in parte inesistenti a favore delle imprese beneficiarie, che operavano nel settore del trasporto internazionale di merci per conto terzi, consentendo a queste una illecita detrazione dell’Iva e una parziale, anche questa indebita, deduzione di costi. Nel corso delle indagini sono state effettuate 20 perquisizioni non solo a Livorno, ma anche a Cecina, Piombino, Udine, Milano e Marsala nel corso delle quali sono state individuate due società livornesi beneficiarie della frode, con un giro di falsi documenti contabili per oltre 40 milioni di euro. A capo dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, ci sarebbe un imprenditore livornese, amministratore di fatto delle società beneficiarie delle false fatturazioni. Sempre secondo quanto emerso dalle indagini, il sistema per frodare l’Iva era attuato attraverso una triangolazione per cui le società beneficiarie commissionavano a piccoli imprenditori – ‘padroncini’ con sede in varie regioni tra cui Toscana, Calabria, Sicilia e Sardegna – l’esecuzione per loro conto di trasporti internazionali, non imponibili Iva, di prodotti destinati a Paesi esteri e consegnati per l’imbarco nei porti di Livorno e Civitavecchia, dando disposizioni affinché le relative fatture venissero emesse a favore di tre imprese ‘cartiere’ appositamente costituite per ‘filtrare’ queste transazioni commerciali. Ricevute le fatture dai padroncini, le tre società emettevano, a loro volta, per le stesse operazioni, nuove fatture a favore delle ditte beneficiarie della frode, indicando un imponibile gonfiato e l’addebito di Iva. L’imposta così indicata veniva quindi detratta dalle società beneficiarie della frode ma non veniva versata all’Erario.
Il meccanismo – secondo gli inquirenti – garantiva alle ditte dell’imprenditore livornese un elevato profitto rappresentato da un fittizio credito Iva, che veniva usato per compensare i debiti tributari, oltre che la deduzione di costi gonfiati. Per il momento l’ammontare della frode e’ stato quantificato in oltre 3 milioni.