MILANO – La decisione del Movimento 5 Stelle di non votare il dl Aiuti in Senato, uscendo dall’Aula, porta il governo Draghi a un passo dalla crisi. Sul provvedimento con le misure urgenti su energia, imprese, investimenti, politiche sociali e crisi ucraina l’esecutivo ha infatti posto la questione di fiducia in entrambi i rami del Parlamento. Alla Camera il partito di Conte – fortemente contrario alla norma che spianerebbe la strada alla costruzione del termovalorizzatore a Roma – aveva confermato la fiducia al governo, astenendosi invece sul provvedimento in sè. Uno schema, tuttavia, non replicabile in Senato, dove il voto è unico. Non aver votato il dl Aiuti significa dunque far saltare la maggioranza, come affermato anche da Pd e Lega.
La prima conseguenza politica del non voto dei 5 Stelle a Palazzo Madama è la salita al Colle del presidente del Consiglio Mario Draghi per un colloquio con Mattarella. Due, adesso, gli scenari possibili. Il primo, visto come il più fisiologico: il premier Mario Draghi, rimette il mandato nelle mani del presidente della Repubblica, il quale lo rinvia alla Camere (o anche solo al Senato). Draghi tornerebbe quindi a chiedere la fiducia ai parlamentari e a questo punto i 5 Stelle potrebbero votare a favore, facendo rientrare la crisi. L’alternativa è che Draghi ottenga la fiducia anche senza il Sì dei 5 Stelle. In questo caso il governo continuerebbe con una nuova maggioranza (e un conseguente rimpasto): eventualità contemplata da Forza Italia e Italia Viva ma esclusa – al momento – dallo stesso Draghi.
Secondo: Draghi decide di non parlamentarizzare la crisi ma rassegna dimissioni irrevocabili. In questo caso inizierebbero nuove consultazioni. Una delle ipotesi è che Mattarella dia un mandato esplorativo ai presidenti di Camera e Senato per sondare la possibilità di formare un nuovo governo. In caso di esito negativo il capo dello Stato scioglierebbe le Camere e si andrebbe invece al voto anticipato, con urne a settembre o ottobre.
Di Silvia Egiziano