L’INTERVISTA. L’avvocato Stellato: “Difendere i diritti è una missione, non solo una professione”

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Giuseppe Stellato

CASERTA – L’avvocato Giuseppe Stellato è una figura di spicco nel panorama forense, con una carriera che si distingue per il rigore, la passione e l’impegno nella tutela dei diritti individuali. Penalista di grande esperienza, ha affrontato processi di rilievo che hanno segnato il dibattito giuridico e sociale, spaziando dalla criminalità organizzata ai più delicati casi di femminicidio. In questa intervista ripercorriamo con lui il percorso che lo ha portato a scegliere la professione forense, le sfide affrontate nei primi anni di attività e le esperienze che hanno lasciato un segno nella sua carriera. Con uno sguardo critico sulle riforme della giustizia e un pensiero rivolto ai giovani che desiderano intraprendere questa strada, l’avvocato Stellato ci offre una riflessione sul ruolo e sulla responsabilità sociale dell’avvocatura nel contesto attuale.

Avvocato Stellato, cosa l’ha spinta a scegliere la professione forense? C’è stato un episodio particolare o una figura di riferimento che ha influenzato questa decisione?
Mi sono deciso a scegliere la professione di avvocato penalista, essendo stato da sempre attratto dalle questioni relative alla soluzione di problemi collegati alla tutela dei diritti individuali. La mia formazione classica e la valutazione dei principi di libertà e di rispetto della persona, quali proiezioni immediate dell’animo umano, mi rendevano particolarmente vicino a tutte le problematiche riguardanti l’evoluzione del diritto quale elemento essenziale per le garanzie di mantenimento di un sistema democratico che fosse in linea con i valori che avevamo approfondito e condiviso sia durante il percorso liceale che universitario.

Qual è il ricordo più significativo dei suoi anni di università? C’è un docente o un momento che ha segnato il suo percorso accademico?
Ho frequentato l’Università seguendo diversi corsi, sia giuridici – esame di diritto privato, di diritto penale, procedura penale – che di formazione storica – Istituzioni di Diritto Romano, Storia del Diritto Italiano – chiaramente, ho seguito anche lezioni collegate alle altre materie che facevano parte del piano di studi tradizionale da me seguito. All’epoca – mi sono laureato nel 1983 – il piano di studi si divideva tra un piano tradizionale e piani già orientati verso una maggiore specializzazione. Io ho seguito il piano di studi tradizionale che, anche sulla base di informazioni assunte e dei colloqui con mio padre (anch’egli laureato in Giurisprudenza), mi sembrava quello più completo per una formazione di base unitaria. Ciò mi ha consentito di apprezzare l’importanza del diritto romano e soprattutto del corso di Istituzioni che ho integralmente seguito con il professore Generoso Melillo. Con lui – tra i primi allievi del professore Guarino – discussi la tesi di laurea in cui affrontai, sulla scorta di approfondimenti operati dalla dottrina tedesca e francese, il delicato rapporto tra il furto e la rapina. In particolare, mi concentrai, su indicazione del docente, sulla natura specializzante della violenza quale elemento di differenziazione tra il furto e la rapina stessa, elaborati attraverso due provvedimenti dell’epoca, l’interdictum de vi e l’interdictum de bona vi rapta. Compresi, allora, la stressa connessione tra i principi già elaborati nel diritto romano ed i successivi approcci del diritto moderno. Tali studi mi convinsero – convinzione che porto tutt’ora – della importanza degli studi storici nella formazione individuale.

Si ricorda la sua prima udienza in tribunale? Che emozioni ha provato quel giorno e come si è preparato per affrontarla?
Il mio primo processo l’ho celebrato, quale difensore, in una vicenda di lottizzazione abusiva: ricordo ancora, ad oltre 40 anni di distanza, la trepidazione e l’ansia che accompagnarono quella prima prova di vita. Era il marzo del 1984 e l’avvocato Ciro Maffuccini – mio indimenticabile maestro che ha rappresentato un costante faro ed esempio per la mia attività professionale e, soprattutto, per il modo con cui svolgerla – mi affidò, in sua sostituzione, la difesa di alcune persone di Marcianise che avevano abusivamente lottizzato un terreno per scopi edilizi. Si trattava di un reato complesso che, all’epoca, non era molto diffuso, tanto che anche l’elaborazione Giurisprudenziale in materia non era particolarmente fiorente. Oggi il tema della lottizzazione urbanistica, ed ancor più i reati urbanistico-edilizi, è di notevole rilievo ed attualità, ma all’epoca vicende del genere non era diffusissime. Ricordo che passai tutta la sera precedente a rivedere i vari testi di diritto urbanistico che, soprattutto dal punto di vista amministrativo, definivano il concetto stesso di lottizzazione. Il Pretore dinnanzi al quale presi per la prima volta la parola era il dottore Amodio – che poi ho incontrato anni dopo in Corte di Assise nel processo Spartacus – il quale, da Magistrato esperto, comprese l’ansia e la voglia di dimostrare una capacità di elaborazione del difensore e mi lasciò, per mia fortuna, notevole tempo per la discussione e per gli approfondimenti che io avevo portato avanti attraverso la consultazione di diversi volumi. Il processo si chiuse con una lieve condanna e con un incoraggiamento a proseguire per quella strada da parte del Magistrato. Fu per me un importante momento di crescita: avere, poco più che vent’enne, una conferma della bontà delle proprie scelte è un fatto ed un dato importante, per cui sarò sempre grato a chi mi ha consentito di rinforzare quella scelta di vista che, all’inizio era frutto solo di una aspirazione.

Nel corso della sua carriera ha seguito numerosi processi. Ce n’è uno in particolare che l’ha affascinata più degli altri? Cosa lo ha reso così speciale?
Sono stato impegnato in parecchi processi, dal Tribunale alla Corte di Assise, processi che hanno segnato il percorso professionale mio e dello studio Associato di cui sono parte. Con me lavorano ormai da decenni avvocati di primo piano, veri lottatori del foro, quali l’avvocato Claudio Sgambato, l’avvocato Umberto Pappadia, l’avvocato Gennaro Ciero e l’avvocato Ernesto De Angelis. I processi hanno seguito fasi diverse, risultando, peraltro, legati anche a tipologie diverse legate anche a momenti storici in cui le emergenze sociali dettavano le linee sui cui si sviluppavano le inchieste giudiziarie. E così vi è stata la fase dei grandi processi di criminalità (primo fra tutti, Spartacus I, ma anche Spartacus II, Regi Lagni, il processo Aima, i processi ai vari clan operanti sul territorio casertano). Di grande interesse i processi in Corte di Assise, in cui abbiamo affrontato ipotesi di femminicidi (caso molto delicato, verificatosi a Mondragone, in cui abbiamo difeso le parti civili); ovvero altra ipotesi, sempre di femminicidio, sorto all’esito di una inchiesta giudiziaria ripresa dalla stampa). Ognuno di questi processi ha lasciato un segno, in quanto ogni questione è stata diversamente affrontata e calibrata alle esigenze di tutela delle parti processuali. Ognuno di essi – ma ne ho citati veramente pochissimi – richiederebbe un approfondimento a sé, per la complessità dei temi e per la rilevanza sociale ed individuale delle questioni trattate.

Cosa pensa delle recenti riforme della giustizia? Ritiene che possano migliorare il sistema o ci sono ancora criticità da risolvere?
La riforma della Giustizia è un argomento sempre all’ordine del giorno. Ritengo, però, che una riforma del potere dello Stato vada seriamente meditata e, per quanto possibile, condivisa. Credo che la separazione delle carriere possa contribuire alla creazione di un maggiore equilibrio tra le parti processuali ma comunque non credo che il vero tema sia quello – o solo quello – dell’apparato istituzionale del sistema. L’autonomia di decisione del Giudice è un valore cui non si può facilmente rinunciare; ma, allo stesso tempo, è innegabile che non può esistere alcun potere che non abbia una chiara individuazione di limiti e contrappesi. Purtroppo, nei momenti in cui gli altri poteri appaiono privi di concreta legittimazione, i meccanismi di supplenza appaiono e si pongono come più forti: e ciò, evidentemente, determina meccanismi di riflessione che hanno ricadute nella costruzione di strumenti diversi a livello istituzionale. Credo che si debba seriamente intervenire sul sistema della prova, anche recuperando alcuni principi del sistema accusatorio, di cui si è in concreto perso traccia: mi riferisco al sistema delle contestazioni ed alla valutazione della prova stessa, soprattutto in sede dibattimentale.

Quale consiglio darebbe a un giovane che oggi desidera intraprendere la carriera forense? Quali sono le qualità fondamentali per affrontare questa professione?
A chi intendesse intraprendere l’attività professionale direi senz’altro di farlo, sottolineandogli, però, che la nostra professione comporta dedizione quasi assoluta. Per riportare frasi ormai passate alla storia, la nostra è professione che richiede “inesausto amore”. Lo studio di una carta, il colloquio con una parte non può essere vissuto in maniera fredda ed asettica. Lo stesso deve rappresentare un momento di effettiva comprensione delle ragioni del soggetto che si assiste, quale ne sia la posizione processuale. Non bisogna mai approcciarsi al fatto penale immaginando di avere già la soluzione del problema: chi difende deve avere la consapevolezza che il processo può e deve essere una scoperta continua: dalla ricostruzione del fatto alla corretta individuazione del trattamento sanzionatorio.

Oggi il ruolo dell’avvocato sembra essere sempre più complesso e sfidante. Qual è, secondo lei, il valore e la responsabilità sociale di questa professione?
Il ruolo dell’avvocato oggi è di certo complesso: non so se più complesso di quanto non fosse ieri ma mi sembra evidente che lo stesso si ponga come un grande mediatore sociale, fungendo da punto di contatto tra un mondo privato e le Istituzioni, verso la quale lo stesso risulta primario portatore di istanze e di esigenze legittime. Il ruolo dialettico svolto all’interno del processo ne rivendica, altresì, un ruolo ed un significato concretamente politico, nel senso più classico della parola. L’avvocato, infatti, con la sua opera di assistenza, difesa, mediazione sociale contribuisce al mantenimento ed al progresso della società in cui vive. Ed è questo il senso primario del valore delle professioni liberali di cui, oggi, la professione rappresenta, di sicuro, un rilevante avamposto.

In tanti anni di attività, avrà sicuramente vissuto momenti particolari o insoliti in tribunale. C’è un aneddoto curioso o un episodio indimenticabile che può raccontarci?
Di episodi e di aneddoti se ne raccontano tanti. Per quanto mi riguarda, ho sempre cercato di guardare alla professione svincolandomi da aneddoti o da approcci semplificanti: ho sempre temuto che questi potessero non rappresentare compiutamente la vita professionale e, soprattutto, i valori della stessa.

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