Afghanistan, il console Claudi: “Siamo una squadra, ce ne andiamo a lavoro finito”

Sta aiutando le persone con tutto sè stesso

MILANO – “Primo: faccio il mio lavoro. E il nostro è un lavoro di gruppo: io sono un semplice funzionario di ambasciata, non un personaggio pubblico. C’è il mio ministero, c’è la Difesa, c’è l’intelligence. Io sono un piccolo ingranaggio del sistema. Non mi aspettavo tutto quel clamore dopo quella fotografia. Il nostro unico lavoro era andare su quel muro per portare assistenza ai cittadini afghani in stato di necessità. Ecco, se devo dire che c’è un significato in quella fotografia, è quello della squadra”. Lo ha detto a ‘La Repubblica’ il console italiano a Kabul Tommaso Claudi. La sua foto mentre aiuta le persone assiepate fuori dall’aeroporto di Kabul e solleva un bambino oltre il muro dello scalo ha fatto il giro del mondo.

Claudi chiarisce che per lui non c’era ragione di lasciare l’Afghanistan prima di aver completato il suo compito. “Perché avrei dovuto? Questo è il mio lavoro – dice -. Questo è il mio posto: come ho detto sin dal principio, io resto qui fin quando ce ne sarà bisogno. Ma non di me. Ma del nostro Paese e, per la mia piccola parte, del mio lavoro. Oggi ho passato la mia giornata al gate perché è lì che dovevo essere. Certo, è un problema serio di ordine pubblico. Quelle foto, compresa quella scattata a me, sono drammatiche. Il nostro compito è di fare il possibile per gli afghani. Pensando sempre alla sicurezza del nostro personale”.

(LaPresse)

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