Amianto alla Firema, nessun colpevole

Per il pubblico ministero dirigenti e imprenditori sono da assolvere, la Cgil getta la spugna

NAPOLI – Anche il secondo processo per i morti da amianto alla Firema si avvia a una conclusione senza colpevoli. Sono 19 i lavoratori morti e 82 i malati per esposizione all’amianto nell’azienda in località Ponteselice a Caserta – oggi denominata Tfa dopo l’acquisizione nel 2015 da parte degli indiani di Titagarh – che produce carrozze ferroviarie.
Il sostituto della Procura di Santa Maria Capua Vetere Giacomo Urbano ha infatti chiesto l’assoluzione per mancanza di prove per sette ex dirigenti della Firema imputati per omicidio e lesioni colpose, ovvero per gli ex amministratori delegati Mario Fiore e Giovanni Fiore e per gli ex dirigenti Enzo Ianuario, Maurizio Russo, Giovanni Iardino, Giuseppe Ricci e Carlo Regazzoni.
Ricci e Russo erano già usciti indenni per assoluzione dal primo processo, in cui la Procura aveva contestato il reato più lieve di rimozione e omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.
Poi l’ufficio inquirente aveva aperto una seconda indagine per omicidio colposo, indagando altri amministratori succedutisi negli anni. Ma la stessa Fiom Cgil, rappresentata in Campania da Massimiliano Guglielmi e nel Casertano da Francesco Percuoco, sembra aver gettato la spugna su questa vicenda, tanto da non essersi neppure costituita parte civile nella seconda fase. E’ stato l’avvocato Angelo Cutolo a seguire il primo processo per conto del sindacato di categoria dei metalmeccanici, ma alla fine le assoluzioni di massa hanno scoraggiato la Camera del lavoro dal proseguire in questa vertenza. Tanto che i rappresentanti della Cgil, contattati da “Cronache”, hanno qualche difficoltà a ricordare di quale vertenza si tratti.
La Procura sammaritana sta percorrendo una strada simile a quella della Procura di Torino in relazione alla vicenda dell’Eternit: in quel caso il proprietario dell’azienda, l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, era stato salvato in Cassazione dalla prescrizione dopo essere stato condannato in primo e secondo grado a 16 e 18 anni per disastro colposo in relazione a decine di decessi per amianto; l’ufficio inquirente aveva così deciso di aprire un nuovo fascicolo a carico di Schmidheiny per omicidio doloso (poi derubricato in delitto colposo), sfruttando anche una sentenza della Corte Costituzionale del 2016, che aveva dichiarato l’imprenditore processabile nuovamente senza che venisse violato il principio giuridico del “ne bis in idem”.
A Santa Maria Capua Vetere le testimonianze dei lavoratori malati non sono state però precise né ritenute rilevanti; troppo il tempo passato dai fatti, antecedenti al 1990 quando l’amianto fu eliminato dall’azienda, così molti ex dipendenti non ricordavano. Si torna in aula a metà ottobre, ma l’esito della vicenda processuale sembra ormai segnato.

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