Auto, da investimenti a batterie: i motivi dello stop Ue a benzina e diesel per Kyoto club

Investimenti, batterie, date sovrapponibili con gli impegni climatici internazionali.

Foto LaPresse

ROMA – Investimenti, batterie, date sovrapponibili con gli impegni climatici internazionali. Questi i principali motivi secondo il direttore scientifico del Kyoto club Gianni Silvestrini alla base dello stop arrivato dall’Ue per le auto a benzina e diesel al 2035. I capisaldi essenziali per fermare le emissioni sono quindi gli investimenti sull’elettrico (ormai avviati dalle grandi compagnie europee dell’auto), la corsa alla tecnologia per le batterie, e i passi temporali coerenti con la data del 2050 per le emissioni ‘zero’. A questo si somma – racconta Silvestrini – la necessità di incentivi per sostenere la riconversione industriale delle aziende dell’automotive italiane, soprattutto quelle della componentistica che in Italia sono all’avanguardia. E a questo deve pensarci il governo: “Non farlo sarebbe un errore”.

“La votazione del Parlamento europeo – spiega Silvestrini – tiene in considerazione per esempio il fatto che tutte le grandi case automobilistiche europee, a cominciare dalla Volkswagen, hanno investito decine di miliardi sull’auto elettrica. E il fatto che la Cina avesse iniziato prima deve farci pensare; per questo è giusto consentire alle imprese europee di farsi le ossa su questo terreno”. Inoltre tutte le compagnie sono “anche impegnate sulle batterie, e la ricerca di tecnologie sempre più avanzate”. Poi, Silvestrini fa presente che “dal 2035 non è che non si può più viaggiare in auto benzina e diesel ma non si potranno più vendere. Il che significa che la data scelta è in linea con l’idea di avere al 2050, quando abbiamo stabilito l’obiettivo di emissioni zero, un parco auto presumibilmente ‘pulito'”.

Tra gli altri elementi di cui tener conto, il direttore scientifico del Kyoto club tocca il tasto della filiera industriale, e in particolare quello della componentistica che in Italia è molto forte: “Le nostre fabbriche di componentistica auto lavorano molto la Germania che in questo campo va fortissima. E’ qui che si dovrebbe intervenire; dovrebbe farlo il governo, esattamente come sta avvenendo in altri Paesi europei. Bisogna riconvertire, e fare delle scelte di politica industriale”. Perché “se l’industria puntasse su questo – rileva Silvestrini – si potrebbero ridurre i costi, fino al punto secondo delle stime tra il 2025 e il 2026 l’auto elettrica costerà meno di un’auto tradizionale; per arrivare alla fine di questo decennio quando converrà comprare un’auto elettrica”.

Infine la diffusione delle auto elettriche “offre anche una straordinaria opportunità di gestione della rete, grazie all’accumulo decentrato, il ‘vehicle to grid’, ovvero la possibilità non soltanto di prendere energia ma anche quella di cederla, rendendo più sicuro e stabile il sistema”.

di Tommaso Tetro

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