Auto ‘green’, rischio lavoro per 600mila

CASERTA (Ernesto di Girolamo) – Con 340 voti favorevoli, 279 voti contrari e 21 astensioni, i deputati europei hanno approvato l’accordo raggiunto con il Consiglio sugli obblighi di riduzione delle emissioni di CO2 per nuove auto e nuovi furgoni, in linea con gli ambiziosi obiettivi climatici dell’UE. La legislazione approvata prevede l’obbligo per nuove autovetture e nuovi veicoli commerciali leggeri di non produrre alcuna emissione di CO2 dal 2035. L’obiettivo è quello di ridurre del 100% le emissioni di questi tipi di veicoli rispetto al 2021. Gli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni per il 2030 sono stati fissati al 55% per le autovetture e al 50% per i furgoni.

La svolta tra 12 anni

Tra soli 12 anni, si potranno acquistare dunque solo auto elettriche. È passato l’emendamento proposto dal Ppe, e appoggiato dagli eurodeputati italiani, che concede una deroga per chi produce poche vetture come i marchi italiani Ferrari e Lamborghini. Il settore dell’industria dell’automobile dovrà profondamente riconvertirsi ed è inutile sottolineare che al momento è del tutto impreparato a farlo. Non a caso, perfino Thierry Breton, commissario al Mercato interno, ha ammesso che “gli impatti distributivi sull’intero ecosistema saranno enormi. Il passaggio alle auto elettriche potrebbe significare centinaia di migliaia di posti di lavoro distrutti lungo la filiera: per l’Ue, circa 600 mila”.

Il mercato cinese

Ma la stima è ottimistica se si considera che da qui al 2035 una larga fetta del mercato europeo potrebbe essere già in mano alla Cina, molto più avanti delle case automobilistiche europee sulle vetture elettriche. In un momento in cui l’Europa ha capito a proprie spese quanto è pericoloso dipendere da un solo paese per il proprio fabbisogno – è il caso della Russia per il gas e il petrolio – come può non considerare i rischi geopolitici di passare dalla padella russa alla brace cinese? Oltre al voto sulle auto elettriche, a Strasburgo è successo molto altro. Nonostante un accordo politico trovato in commissione Ambiente (Envi), per un pugno di voti i parlamentari hanno bocciato la riforma del sistema Ets, affossando così anche l’introduzione del Cbam e la creazione del Fondo sociale per il clima.

Il paradosso

È curioso che a bloccare tutto siano stati, insieme, gli ambientalisti più accaniti (considerandola troppo poco ambiziosa) e i critici più feroci della transizione green (considerandola troppo costosa). Il sistema Ets, il principale strumento per abbattere le emissioni di CO2 su territorio europeo, obbliga le aziende che rilasciano nell’atmosfera agenti inquinanti ad acquistare permessi per farlo. Ogni quota equivale a una tonnellata di CO2 e le aziende interessate, circa 11 mila al momento, possono comprare le quote sui mercati finanziari o da altre aziende. Lo scopo del sistema Ets è mantenere i prezzi dei “carbon credit” così alti da costringere le aziende a trovare soluzioni produttive più green per risparmiare. L’Ue mette progressivamente sul mercato un numero sempre inferiore di quote, ma finora ha protetto il proprio sistema industriale dai competitor – soprattutto Stati Uniti e Cina – rilasciando anche quote gratuite ai settori più a rischio come quello dell’acciaio.
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