Bomba a Ponticelli, guerra tra clan

bomba a Ponticelli
Bomba a Ponticelli

NAPOLI (Antonio De Simone) – Quartiere Ponticelli, al confine col territorio di Cercola, nel punto in cui via Vera Lombardi viene attraversata dal cavalcavia Pacioli. Mezzanotte e mezza. Il buio della notte viene squarciato da un lampo, il silenzio da un boato terrificante. L’esplosione danneggia un piloncino in cemento, di quelli che contengono i fili elettrici. Una enorme colonna di fumo sale verso il cielo e si piega in direzione del mare.

L’unica lettura possibile dell’episodio è che la bomba sia stata lanciata dal cavalcavia per colpire qualcuno che stava percorrendo la strada sottostante. Ormai è chiaro, è questa la “lingua” che da un bel po’ di tempo si parla da queste parti.

Pochi secondi dopo i residenti della zona sono tutti dietro le finestre. Sul posto arrivano dopo un po’ una pattuglia della polizia, un’autocisterna dei vigili del fuoco e personale tecnico del Comune. Non ci sono feriti sul campo, né vengono registrati danni ad altre cose. Però nessuno, al momento, si azzarda ad avvicinarsi al luogo della deflagrazione. La zona orientale è calda. Molto calda. E quella esplosione riporta alla mente un episodio molto recente.

Era la notte tra il 28 e il 29 settembre del 2021. Da un’auto in corsa che percorreva via Piscettaro venne lanciato un altro ordigno. In quel caso era un messaggio diretto al capoclan Marco De Micco, che era stato scarcerato da poco.

Il boss viveva in una palazzina di due piani, proprio quella davanti alla quale la bomba era esplosa. Fino a ieri sera, quello era stato l’ultimo di una lunga serie di atti dimostrativi. Una donna e un bambino furono feriti. Prima di allora c’erano stati tre episodi simili nell’arco di meno di una settimana.

Pochi giorni più tardi, il 6 ottobre dello scorso anno, arrivò la risposta alla bomba contro De Micco. Un 23enne, Carmine D’Onofrio,  ritenuto il figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa, fratello del boss ergastolano Antonio De Luca Bossa, venne ucciso a colpi di pistola in via Crisconio, poco prima delle 2 di notte. Venne assassinato davanti alla compagna, una 20enne in attesa di un bambino. Secondo gli investigatori, il giovane era stato ucciso perché i De Micco ritenevano che avesse partecipato personalmente all’attentato davanti alla casa del boss del clan rivale. Per quel fatto di sangue ci sono stati 6 fermi, lo scorso 4 aprile. 

Ma nel mondo criminale ogni evento può modificare i rapporti di forze tra clan contrapposti. è possibile, se non probabile, che gli ultimi arresti abbiano spinto uno dei gruppi in conflitto a un atto dimostrativo. Per una serie di ragioni. Prima di tutto perché ora la cosca di Bodo è indebolita, in vista di una necessaria riorganizzazione. Poi perché è ovvio che dopo quest’ultimo, eclatante gesto, l’attenzione delle forze dell’ordine sarà puntata ancora di più sui personaggi che gravitano attorno ai vertici dei De Micco e dei De Martino. L’omicidio D’Onofrio è stato quasi un delitto annunciato. I giornali scrivevano di possibili azioni ritorsive già il giorno successivo a quello della bomba in via Piscettaro. Questa volta è probabile che la zona venga tenuta sotto strettissima osservazione.

L’ultima esplosione e il pestaggio

Marco De Micco era stato scarcerato da poco, quando una bomba venne lanciata da un’auto in corsa di fronte alla sua abitazione, una palazzina a due piani in via Piscettaro. Un gesto che non poteva essere lasciato impunito, andava lavato con il sangue. Ed è stata proprio l’accusa di omicidio a far riaprire per “Bodo” le porte del carcere. Secondo la ricostruzione della Direzione Distrettuale Antimafia, che lo scorso 4 aprile ha chiesto e ottenuto l’arresto di 6 persone considerate elementi di spicco del clan, Ciro Ricci e Giovanni Palumbo, anche loro arrestati, avrebbero condotto un giovane al cospetto di De Micco. Lo avrebbero pestato a sangue, facendogli credere di avere un filmato che lo riprendeva nell’auto dalla quale la bomba era stata lanciata.
Avrebbero così costretto il ragazzo a fare il nome di un suo presunto “complice”. Era Carmine D’Onofrio, 23 anni. E’ così che sarebbe maturato il delitto. Quello che, forse, determinerà la sconfitta finale dei Bodo.

I De Micco alla prova del Riesame

Sono state discusse ieri mattina, davanti al giudice del Riesame del Tribunale di Napoli, le posizioni di quattro delle sei persone fermate per l’omicidio del giovane Carmine D’Onofrio: Giovanni Palumbo, Ciro Ricci, Ferdinando Viscovo e Giuseppe Russo junior. L’esito dell’udienza sarà reso noto, probabilmente, nel corso della giornata odierna.

Potrebbe slittare, invece, alla prossima settimana il giudizio in merito alle misure emesse nei confronti di Marco De Micco, il capo dei Bodo, considerato dagli inquirenti il mandante del delitto e Salvatore Alfuso. Risulta indagata a piede libero la madre di De Micco, Maddalena Cadavero.

Secondo gli inquirenti le persone fermate, con la sola eccezione del mandante, avrebbero “partecipato alla deliberazione e organizzazione dell’agguato, effettuato sopralluoghi e appostamenti per rintracciare la vittima, procurato l’auto Nissan Qashqai, individuato il momento per colpire la vittima, segnalando gli spostamenti agli esecutori materiali e assicurato a questi la fuga dopo l’omicidio”.

Un’azione pianificata per uccidere il figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa, a sua volta fratello del boss del clan avversario Antonio, detto “Tonino ’o Sicco”. Volevano punirlo in quanto ritenuto autore, insieme ad altri, del lancio di una bomba davanti alla casa di Bodo.

Marco De Micco

La ripartizione del territorio rione per rione

Marco De Micco nell’ambiente anche con il soprannome di “Bodo”, è il punto di riferimento del gruppo omonimo, alleato dei De Martino. Il clan avversario è quello dei De Luca Bossa-Minichini, che fa capo al boss Antonio De Luca Bossa, conosciuto come “Tonino ’o Sicco”, oggi ergastolano.

Questo lo scenario attuale, ma la guerra che insanguina la zona orientale di Napoli ha origini molto remote nel tempo. Uno dei fatti più eclatanti, rimasti impressi in maniera indelebile nella coscienza collettiva degli abitanti di queste zone accadde l’11 novembre del 1989. Quell’episodio è ricordato come la “Strage del bar Sayonara”. Era sabato sera, quando tre auto giunsero davanti a quel locale. Ne scesero 8 uomini, armati di fucili a canne mozze e con il cervello messo fuori uso dalla droga. Spararono senza nemmeno guardare, all’esterno e poi all’interno del locale. Un assalto che per modalità e spietatezza può essere paragonato solo all’attentato terroristico al Bataclan di Parigi del 2015.

La guerra era quella tra Ciro Sarno, ’o Piccirillo e Andrea Andreotti, ’o Cappotto.

Il clan Sarno è stato a lungo egemone a Ponticelli, si può dire per tutti gli anni ’90. Allora, insieme ai Misso e ai Caldarelli, formava un unico gruppo con i Mazzarella. Ne è passata di acqua sotto i ponti. Oggi lo scenario è molto diverso. In via Franciosa, nella zona indicata “aret’ ’a Barra”, è insediata la famiglia Casella, oggi parte del gruppo Minichini/De Luca Bossa. Nel “rione Fiat” c’è la famiglia dei De Martino, chiamati anche “XX”. Nel Lotto 10 e nel Lotto 0 ci sono i De Luca Bossa. Nel “parco Conocal” ci sono i D’Amico, detti “fraulella”. Nella zona di viale Margherita, invece, regnano i De Micco.

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