Brexit, May ‘in bilico’. Hammond apre al referendum

Il voto, originariamente programmato questa settimana, è stato bloccato dal Presidente dei Comuni John Bercow

Foto LaPresse / AFP in foto Theresa May

MILANO – Una ‘riunione di crisi’ in vista del consiglio di ministri di lunedì. La premier britannica Theresa May è accerchiata. Da una parte, le pressioni dell’Europa che, in extremis, ha concesso un posticipo della Brexit (fissata inizialmente per il 29 marzo). Dall’altra, le manovre dei franchi tiratori interni al suo esecutivo (nella fattispecie il ministro dell’Ambiente Michael Gove e il vicepremier David Lidington) perché si dimetta entro pochi giorni.

Riunione d’urgenza per Theresa May

Stretta tra la ragione di Stato e quella di partito, May ha quindi convocato d’urgenza ministri e leader conservatori nella sua residenza di campagna di Chequers (a nord-ovest di Londra). All’ordine del giorno, riflessioni all’indomani dell’oceanico corteo a Londra del popolo del ‘remain’, e il rebus su una sua possibile uscita di scena da Downing Street.

Hammond non esclude l’ipotesi referendum

Anche alla luce delle parole del cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond su un secondo referendum sulla Brexit. Le immagini della piazza londinese, con oltre un milione di partecipanti, e le oltre cinque milioni di firma raccolte a favore della petizione che chiede la revoca dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona (che regola l’uscita di uno Stato membro dall’Ue) impongono una riflessione e una diversa considerazione su una seconda consultazione popolare, già bocciata più volta dalla premier.

Una proposta da valutare alla Camera

“Non sono sicuro che vi sia una maggioranza in Parlamento” a favore di un secondo referendum. Ma, secondo Hammond, si tratta “di una proposta perfettamente coerente che merita di essere valutata” alla Camera. Nessun dubbio, invece, sull’inutilità di un cambio di “giocatori”. “Cambiare primo ministro non ci aiuterebbe”, bolla il ministro delle Finanza.

Scricchiola la poltrona della May?

Ma il toto-nomi per un post-May è già in atto, complice la stampa britannica che ha dato il via libera alle indiscrezioni. Criticata da tutti i lati per la sua gestione della Brexit, la leader tory sarebbe sotto la minaccia dei suoi stessi ministri, scrive il Sunday Times, secondo cui May potrebbe cedere il posto al numero 10 di Downing Street al vice David Lidington, europeista convinto. Il Mail on Sunday ipotizza invece un ruolo chiave per il ministro dell’Ambiente Michael Gove, un ‘brexiter’. Entrambi si sono affrettati a negare. “Non desidero prendere la sua suite”, dichiara il primo, convinto che “non sia il momento di cambiare il capitano della nave”.

L’obiettivo è evitare il no deal

Ma Theresa May non ci casca e convoca una vera e propria ‘riunione di crisi’ alla presenza dei ministri ‘traditori’ e di alcuni dei più convinti ‘brexiteers’ come l’ex ministro degli Esteri, Boris Johnson e Jacob Rees-Mogg, presidente dell’European Research Group (Erg), gruppo di deputati favorevoli all’uscita del Regno Uniti dall’Ue senza concessioni. Un’ipotesi, il ‘no deal’, che lo stesso Hammond bolla come un “esito catastroficamente negativo”.

Brexit, ultima chance per votare l’accordo

Il governo dovrebbe svelare lunedì, nel corso del consiglio dei ministri, le sue intenzioni per il proseguimento del processo di Brexit. Un terzo rifiuto da parte del Parlamento dell’accordo siglato da May con Bruxelles potrebbe essere il colpo mortale per la premier in piena crisi di autorità. Nel caso in cui presenti nuovamente il testo ai deputati, May dovrà superare due ostacoli, il primo relativo alla possibilità stessa di presentare l’accordo.

L’ostruzione del presidente dei Comuni

Il voto, originariamente programmato questa settimana, è stato bloccato dal Presidente dei Comuni John Bercow sulla base del fatto che l’esecutivo non poteva ripresentare lo stesso testo invariato (l’accordo è già stato bocciato due volte). Le recenti decisioni dell’Ue su una dilazione dei tempi, tuttavia, potrebbero sembrare come elementi nuovi da aggiungere al documento. Il secondo ostacolo è ancora più arduo da superare: convincere i membri più strenui a cambiare idea e ad accettare l’accordo.

Possibili scenari

Anticipando un possibile rifiuto, i leader europei hanno offerto al Regno Unito una scelta. Se l’accordo verrà votato il Paese potrà uscire dall’Ue in modo ordinato, con un breve rinvio previsto per il 22 maggio. Se l’accordo verrà respinto Londra avrà tempo fino al 12 aprile per decidere se tenere elezioni europee, cosa che permetterebbe di chiedere un nuovo rinvio. Altrimenti, la strada è quella di un’uscita senza accordo, quel ‘no deal’ che May sta disperatamente cercando di evitare.

(LaPresse/di Valentina Innocente)

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