Si pente il boss dei Casalesi Francesco Schiavone Sandokan

Il capo della camorra casertana Francesco Schiavone ha deciso di collaborare con la giustizia dopo 26 anni al carcere duro.

Francesco Schiavone Sandokan

C’è mafia se c’è omertà. Perché tutto ciò che riguarda il clan deve restare nel clan. Perché chi rappresenta l’anti-Stato non può parlare con lo Stato. Uno schema semplice e vitale per la tenuta di ogni cosca. Ma analizzando la galassia dei Casalesi, la sua storia, recente e meno recente, emerge che già più e più volte è stato violato determinando numerose crepe nell’organizzazione. Risultato? Un suo costante indebolimento militare e la scomparsa della ‘cassa comune’.

La scelta

Ma adesso a far saltare quello schema, o meglio, a mandarlo letteralmente in frantumi è stato chi ha fondato il clan: Francesco Sandokan Schiavone sta collaborando con la giustizia. La persona che per decenni ha impersonificato l’essenza della mafia dell’Agro aversano, l’uomo che ha spodestato dal trono criminale Antonio Bardellino, ha scelto di pentirsi. Cosa significa? Che da alcuni giorni nella vita di Sandokan, che sciaguratamente aveva consacrato al male, non c’è più omertà. E quindi non c’è, anzi, non dovrebbe esserci, più mafia. Usiamo il condizionale perché quello che il boss ha intrapreso è un percorso a dir poco complicato e, ora, si trova ancora nella fase iniziale, la più fragile. I prossimi mesi saranno fondamentali per comprendere se quella del capomafia sia stata o meno una scelta convinta, se non farà passi indietro, se riuscirà ad andare dritto verso la meta e se la Procura di Napoli, ora guidata da Nicola Gratteri, continuerà a dargli fiducia. E in attesa di capirlo, però, per ora, ci sono già motivi sufficienti per esultare. Perché a distanza di 26 anni dal suo arresto, lo Stato, comunque andrà, è riuscito a far breccia nel boss-immagine del clan dei Casalesi.

I familiari del boss

I carabinieri nelle scorse ore hanno bussato alle porte delle abitazioni dei familiari di Francesco Sandokan Schiavone: hanno offerto loro il programma di protezione, proprio come già avevano fatto nel 2018, quando Nicola Schiavone, il primogenito del capomafia, iniziò a collaborare con la giustizia. E in quel caso furono pochi ad accettarlo, a decidere di cambiare completamente vita, di recidere ogni legame con l’Agro aversano e il mondo mafioso. Tanti, invece, risposero picche: preferirono di continuare a trascorrere la propria vita a Casal di Principe e dintorni. Ed è da loro che, dopo aver tracciato il via alla collaborazione di Sandokan, il Servizio centrale di protezione ha inviato i militari a rifare la proposta. Un’azione necessaria, dovuta. Perché anche se ciò che resta del clan dei Casalesi non è più feroce come venti anni fa, anche se ciò che resta della mafia dell’Agro aversano si è quasi del tutto imprenditorializzato (appendendo al chiodo pistole e kalashnikov), un pentimento del genere potrebbe comunque generare effetti pericolosi. E chi è legato a Sandokan, nella sua nuova veste di pentito, suo malgrado rischia di diventare un bersaglio.

Le voci in città

“Sta cantando qualcuno di pesante”. “Un pezzo grosso sta collaborando con la giustizia”. “Gira voce che c’è un nuovo pentito”: sono le frasi che da settimane circolavano con insistenza per le strade di Casal di Principe. Frasi che ci erano giunte forti, ma che solo nelle scorse ore, dopo che a tutti i parenti liberi del capoclan era stato proposto il programma di protezione, abbiamo potuto rivelare ai lettori.

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