Non è questo l’epoca di grandi Pontefici, di spiriti illuminati, che con sapienza di cuore e intelletto, possano guardare al mondo come protagonisti dello stesso: testimoni e profeti del segno dei tempi. Uomini che hanno guidato il gregge dei credenti senza tentennamenti e ambiguità, che hanno saputo anteporre il bene superiore del magistero ecclesiale resistendo alle mode ed alle tendenze del momento, affrontando la tempesta della secolarizzazione della fede e del relativismo etico che da sempre l’accompagna. Uomini, insomma, che hanno saputo tirare diritto nel mare procelloso della cosiddetta “modernità”, immuni al plauso di convenienza degli “atei devoti”, coloro, cioè, che sovente si accostano alla chiesa solo quando dottrina e pastorale della stessa inclinano verso i propri convincimenti politici e sociali. Queste somme figure hanno parlato ex cattedra, consapevoli del carico di responsabilità che onusto gravava sulle loro spalle, eredi degli apostoli e vicari di Cristo in terra. Ieratici nel loro incedere, per il ruolo che dovevano interpretare, ma infinitamente attenti e caritatevoli verso ultimi ed i diseredati. Costoro hanno parlato attraverso le encicliche e gli atti propri del loro magistero, che fungevano da timone ed orientamento, evitando di farsi intervistare in tv, coniugando l’autorevolezza del gesto e della figura con l’umiltà di essere null’altro che cattolici, nel senso etimologico greco del termine, vale a dire al di sotto di tutti. Senza questi atti la chiesa stessa non avrebbe saputo trovare la stella polare, affrontare le insorgenti controversie,il mutare dei tempi in un mondo che cambiava velocemente. Non a caso il più vecchio di essi, salito al Pontificato a ben 70 anni di età, Giovanni XXIII, seppe portare a compimento l’apertura del Concilio Vaticano II, affinché sia la dottrina, sia la catechesi si “conformassero” ai tempi nuovi. Questi Papi venivano portati su di una sedia gestatoria, indossavano ancora il “triregno”, simbolo del potere costituito del vescovo di Roma, ma guardavano bene nell’animo e nel cuore dei fedeli senza prendere scorciatoie semplicistiche che minassero il prestigio e l’autorità del Sommo Soglio. Eppure avevano attraversato guerre mondiali, acerrimi conflitti politici e sociali, stravolgimenti di costumi e del comune senso della moral e delle consuetudini figlie dei tempi, senza mai dare la sensazione che la chiesa ed il suo “leader” dovessero svenderne la forma e la sostanza sulle quali essa era stata costruita in venti secoli di storia. Parlavamo delle encicliche, delle lettere pastorali, con le quali i Pontefici hanno sempre parlato per governare il vasto popolo dei fedeli (circa un miliardo). Documenti precisi sotto ogni punto di vista, teologico e spirituale, politico e sociale. , Oggi, priva di questi requisiti e, soprattutto, di questi uomini, la chiesa si barcamena e si adegua alle vicissitudini del mondo, si secolarizza automaticamente, si depaupera finanche dei suoi principii e di qualche dogma ritenuti ormai desueti. In una realtà nella quale, cessate le ideologie sono venute meno anche le idee, i cardini orientativi che da essi discendevano, ove tutto si piega alla potenza della tecnologia ed alla volatilità dell’etica pubblica e della morale privata, ecco che il Vaticano balbetta e si ridimensiona, si adagia e si conforma perché non ha molto da dire. Oggi sul soglio di Pietro abbiamo un buon pastore, gesuita, che ritiene unico suo compito la cura dei poveri e poco altro. Egli vorrebbe arginare i guasti provenienti dalla complessità della società liquida e digitale, con lo spirito missionario. Come se tutto il globo terraqueo fosse comparabile al sottosviluppo delle favelas, un posto privo di speranza di salvezza per coloro che poveri ed emarginati non sono. In questo contesto guarda con fervore al socialismo, malamente interpretando la dottrina sociale della chiesa, e l’equidistanza di questa dalle teorie economiche ma vicina alla centralità sociale dell’Uomo. La ricchezza, ancorché prodotta dal lavoro, dai talenti, dall’abnegazione, dal rispetto delle leggi, viene considerata il frutto negativo dello sfruttamento: una colpa indelebile, una sorta di lettera scarlatta per chiunque goda di agiatezza. Dove saranno finiti i Papi che sfidarono il nazismo, l’olocausto degli ebrei, quelli che evitarono (con i missili di Nikita Krusciov a Cuba) una nuova guerra intercontinentale? E cosa ne è stato del messaggio contenuto nella “Mater et Magistra” di Papa Giovanni e nella “Quadragesimo anno” di Pio XII in un mondo che non riesce più a regolare i conflitti tra sviluppo e lavoro, dei diritti e delle libertà, della solidarietà senza le forzose oppressioni dei regimi illiberali e dei tiranni? Senza libertà e senza diritti, senza porre l’uomo al centro di tutto, anteponendolo anche ai fini pratici dell’economia, la prosperità non sarà coniugata con la pace. Discorsi desueti e dimenticati nell’epoca degli ignoranti assistiti dalle macchine, dell’analfabetismo funzionale, della cancellazione dei valori morali e civici. Della chiesa che si piega al destino di siffatto universo, smettendo di essere “Madre e Maestra”.