Contro la CO2 ecco le praterie

Possono assorbire molta più anidride carbonica delle foreste ma sono sempre meno. Lo attesta uno studio dell’università del Kansas, in caso di incendi non rilasciano inquinanti perché il carbonio è conservato nel sottosuolo

Si parla tanto di riforestazione e piantumazione di alberi come strategie fondamentali per ridurre le quantità di CO2 nell’atmosfera, ma una soluzione ‘naturale’ potrebbe provenire anche dalle praterie. In linea generale, per praterie si intendono quegli ecosistemi caratterizzati da vegetazione bassa e con pochi alberi. Queste occuperebbero circa il 40% del suolo terrestre ma negli ultimi anni questa la percentuale si è notevolmente ridotta. Si stima infatti che negli ultimi anni sia scomparsa oltre la metà delle prateria presenti nel mondo. Molte di questo hanno lasciato il posto alle coltivazioni e agli allevamenti intensivi. Negli Stati Uniti solo il 4% delle prateria è rimasta inalterato e in Brasile, il Cerrado, la più vasta savana tropicale del mondo, sta a poco a poco lasciando spazio alle attività dell’uomo.

Lo studio dell’Università del Kansas

Secondo dei recenti studi effettuati dall’università americana del Kansas, il ripristino delle praterie potrebbe svolgere un’azione fondamentale nella lotta alle emissioni di anidride carbonica perché la vegetazione bassa trattiene meglio la C02 rispetto gli alberi. Inoltre, le praterie hanno tempo di crescita e rigenerazione molto inferiori rispetto le foreste. In casi di incendi di foreste per esempio, il carbonio conservato nelle foglie, nei rami e nei tronchi viene rilasciato sotto forma di anidride carbonica. Mentre nel caso di incendio di una prateria questo rischio non c’è. La quantità di anidride carbonica rilasciata è molto inferiore perché la maggior parte del carbonio è conservata nel sottosuolo, nelle radici. Per di più, il tempo di rigenerazione delle praterie è molto breve ed è anzi favorito dagli incendi. Oltre a tutelare le foreste, dunque, sarebbe necessario salvaguardare anche le praterie tenendo ben presente però che gli sforzi principali devono essere diretti alla riduzione delle emissioni e alla dismissione delle fonti carbonfossili. Purtroppo, però, nonostante queste recenti ricerche universitarie, nei trattati internazionali non sono mai citate in maniera esplicita.

Piantare alberi non basta

Soffermarsi soltanto sulla ripiantumazione e sulla rigenerazione delle foreste e della vegetazione potrebbe infatti distrarci dal vero problema. Il vero problema è l’inquinamento è l’eccessiva emissioni di sostante inquinanti. Piantare alberi senza ridurre le emissioni può rivelarsi perfettamente inutile. Soprattutto, sostengono molti scienziati, sortisce un effetto deresponsabilizzante. Un po’ come mettere tutta la polvere sotto il tappeto. La rigenerazione vegetale può portare dei grossi benefici ma non può essere l’unica strategia da seguire. Deve essere accompagnata da altri interventi.

Il sondaggio Ipsos e i costi dell’immobilismo istituzionale

I costi dell’immobilismo in materia di qualità dell’aria sono ingenti. A causa della pessima qualità dell’aria, per esempio, il nostro Paese dovrà pagare una sanzione compresa tra 1,5 e 2,3 miliardi elevata dalla Commissione europea tramite una procedura di infrazione. L’Italia è lontana da raggiungere gli obiettivi prefissati dall’agenda europee e delle Nazioni Unite. Ecco dunque che conoscere un ventaglio più ampio di soluzioni e conoscere bene i loro effetti può aiutare a realizzare una seria progettazione per la riduzione delle emissioni. Senza affidarsi a soluzioni di comodo o ingannevoli che non fanno davvero la differenza. Conoscenza che spesso manca e non è condivisa. Un sondaggio effettuato dall’Ipsos attesta che solo il 27% del campione intervistato è a conoscenza delle procedure di infrazioni europee alle quali è stata sottoposta l’Italia e che il 77% di questi sia convinto del fatto che abbiamo fatto troppo per evitarla e che in fondo la meritiamo. Un altro 80%, inoltre, afferma che i principali responsabili di questa situazione sono le istituzioni. Non sono dati assoluti, certo, ma fotografano comunque la mancanza di fiducia nella popolazione nelle istituzioni. Le soluzioni per fermare o anche solo mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici ci sono, ma in larghe fasce della popolazione è diffuso un pericolo senso di rassegnazione e inerzia.

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