Crisi del Governo: con il voto a ottobre è rebus sulla manovra, a rischio lo scudo anti-spread e i fondi Pnrr

Situazione molto complessa

Foto Mauro Scrobogna / LaPresse 23-03-2022 Roma, Italy Camera Deputati - Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della riunione del Consiglio europeo del 24 e del 25 marzo 2022 Nella foto: il Presidente del Consiglio Mario Draghi

ROMA – “Game over. Draghi è fuori dalla partita”. Dalle parti di palazzo Chigi lo spiraglio per un possibile ripensamento, già minimo, lasciato ieri, con il passare delle ore si assottiglia ancora di più. Il presidente “non tornerà indietro”, è il refrain di chi invita ad osservare come il dibattito in corso tra e nelle forze politiche “non fa altro che dimostrare” l’impossibilità di andare avanti, “una ormai acclarata inagibilità a governare”. L’epilogo più probabile della crisi, quindi, per chi ha parlato con l’inquilino di palazzo Chigi rimane quello che “per Draghi era già scritto ieri”: mercoledì, dopo le comunicazioni al Senato prima e alla Camera poi, il premier, anticipando un possibile voto degli eletti, tornerà al Quirinale per dimettersi. “Mattarella capisce e condivide le sue ragioni – viene fatto filtrare – non darà un altro incarico, ma scioglierà le Camere, la legislatura è finita”. A questo punto Draghi dovrebbe restare in carica per gli affari correnti e – è l’ipotesi che si fa strada nelle ultime ore – il Capo dello Stato potrebbe scegliere, pur sciogliendo le Camere, di rifiutare ancora una volta le sue dimissioni, in modo da lasciare alla guida del Governo un presidente del Consiglio “nel pieno delle sue funzioni”. Data la delicatezza del momento, dalla situazione economica a quella internazionale – è il ragionamento – avere un premier non sfiduciato e non dimissionario potrebbe rivelarsi un elemento di “sicurezza” in più per il Paese.

La data cerchiata in rosso per le possibili elezioni è quella del 2 ottobre (ballano anche il weekend prima e quello dopo), ma il timing del voto – sarebbe la prima volta in autunno – complica non poco diversi dossier, a partire dalla legge di bilancio. La prima riunione delle Camere, per legge, si tiene entro 20 giorni dal voto. Poi si eleggono i presidenti di Camera e Senato, solo dopo inizia tutto il percorso di formazione del nuovo Governo. “Se tutto va bene avremo un nuovo premier e un nuovo esecutivo a metà novembre, non ci saranno mai i tempi per una manovra degna di questo nome”, è il pronostico che va per la maggiore tra gli addetti ai lavori. Potrebbe essere allora il Governo in carica per gli affari correnti a varare la Nadef, solo però dopo aver aspettato i dati su crescita, debito e deficit che l’Istat diffonde a fine settembre. L’importante è scongiurare l’esercizio provvisorio: di fatto, si tratta di un commissariamento in cui incorre un Paese quando non approva le voci di spesa per il 2023, ma questo scenario viene escluso dai più. L’exit strategy potrebbe essere quella di approvare una manovra ‘light’, molto ridotta, in cui confermare solo le spese già in essere e quelle indifferibili, per poi imprimere una svolta alla politica economica con la Nadef ad aprile e con possibili scostamenti di bilancio nel 2023. Il precedente di una ‘finanziaria’ leggera (allora si chiamava così) c’è ed è quello di Giulio Tremonti che nel luglio 2011 varò la manovra a luglio per riportare il paese “sul sentiero del pareggio di bilancio”. 

Non solo la legge di bilancio però. Il primo scoglio è quello di giovedì quando la Bce esaminerà lo scudo anti spread. “Senza Draghi alla guida ell’Italia non passerà”, è il refrain dei partiti. E’ anche la seconda tranche dei fondi del Pnrr a preoccupare. Sono 51 i target da raggiungere e se l’Italia non li dovesse centrare tutti sono a rischio i 25 miliardi attesi per il 2022. “Il ddl concorrenza è bloccato in Parlamento tra taxi e balneari e si devono ancora scrivere i decreti delegati, poi c’è la giustizia tributaria, la strada è lunga”, ammette chi lavora al dossier.  Una possibilità – ragionano tra Parlamento e ministeri – potrebbe essere quella di chiedere, data la crisi politica in atto, una moratoria sugli obiettivi del Piano, “ma senza Draghi è difficile che la Commissione Ue ce la possa accordare”, è il ragionamento. La convizione è anche che la lotta Ue al tetto del prezzo del gas subirebbe una battuta di arresto. Ci sono poi le bollette del quarto trimestre: se non si fa un provvedimento scattano gli aumenti. Nella tempesta perfetta che sembra scatenarsi per l’autunno, i più previdenti ci mettono anche, oltre a gas e stoccaggi, anche gli effetti della siccità che si è registrata in questi mesi: scarsità dei raccolti, limiti ai rifornimenti alimentari e conseguente (ulteriore) aumento dei prezzi. 

Intanto il Governo continua a lavorare sul decreto anti crisi annunciato per luglio a imprese e parti sociali. Il provvedimento potrebbe essere pronto per la settimana prossima. Le Camere a quel punto potrebbero essere già sciolte ma potrebbero essere riconvocate per approvare un provvedimento d’emergenza. 

(LaPresse)

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