Francesca Del Duca, mille anime in musica

NAPOLI – Ha dimostrato di essere molto più di una session player già accanto a Eugenio Bennato. Dietro la batteria, il piano o la chitarra, o quando imbraccia la darabouka, Francesca Del Duca conquista la scena senza grossi sforzi. Non solo per la sua bellezza mediterranea, per i suoi occhi orientali o per l’intensità delle sue performance strumentali e canore. Francesca è una, nessuna e centomila. Un ircocervo, uno strano animale allo stesso tempo selvatico e dolce, malinconico e ribelle, puro e spudorato, nomade e stanziale. Una voce ipnotica ma anche potente. Sorprendente se associata all’immagine di una ragazza che padroneggia così tanti strumenti musicali, classici o etnici che siano.

Più che figlia d’arte (il padre compositore ha lavorato con maestri del calibro di Roberto De Simone) è una musicista di razza. Una polistrumentista in grado di nascondere il mestiere ed esibire la sua arte con la disinvoltura dei grandi. Il video del suo primo singolo “May I”, realizzato con Tato Strino e Yulan Morra e con i musicisti Fulvio Di Nocera al basso, Salvatore Rainone alla batteria, Catello Tucci al violoncello, Riccardo Villari al violino ed Elio Manzo alla chitarra (il musicista appare in diverse scene), è già su Youtube e sulle principali piattaforme di distribuzione per dispositivi mobili. Il suo primo album, invece, dovrebbe essere pronto tra qualche mese. Quando la incontriamo a Napoli, nello studio del suo vulcanico produttore Elio “100gr” Manzo, fondatore dei mitici Bisca, la discussione scivola anche sulla sua vita privata. Inevitabile, quando ci si trova a intervistare un personaggio così misterioso e affascinante.

Quando sei sul palco o addirittura davanti alle telecamere Rai sembri molto sicura di te.

Non è stato sempre così. E anche oggi non sono poi così espansiva nella vita privata. Non amo il rumore. Preferisco l’intimità, il contatto diretto con le persone. E spesso sento il bisogno di stare da sola. Era così anche quando andavo al liceo classico ma allora la vivevo male. Poi ho avviato un cammino spirituale che mi ha permesso di conoscermi meglio e di vivere la vita con maggiore serenità. Mi sento parte di qualcosa di più grande. Un Dio che non è all’infuori di noi come ci insegnano le religioni più diffuse, ma è dentro ciascuno di noi e pervade tutto il creato.

E poi è arrivata la musica.

In realtà c’è sempre stata. A un certo punto ho capito che non avrei potuto fare altro. Però fu mio padre a suggerirmi di studiare le percussioni. Non ci avevo pensato ma ho capito subito che aveva ragione. A darmi la spinta decisiva è stato un professore, Vincenzo Gaudiello. L’ultimo giorno di scuola mi prese il viso tra le mani e disse: “La mia laurea per il tuo talento”. All’esame di maturità, poi, cantai l’“Infinito” di Leopardi davanti alla commissione. Ho deciso di iscrivermi al conservatorio di Salerno, per studiare con il maestro Paolo Cimmino. A lui devo moltissimo.

Quando hai deciso di fare sul serio?

Dopo il conservatorio sono andata a vivere negli Stati Uniti. Per un periodo ho vissuto anche in Australia. Negli Usa ho avuto un ruolo di grande responsabilità come direttore musicale per una fondazione no profit. E ho conosciuto musicisti straordinari, punti di riferimento nei rispettivi generi musicali, dal jazz alla musica classica. Intanto ho composto i brani che confluiranno nel mio primo album, che dovrebbe uscire tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo. Suonando dal vivo, poi, ho scoperto che sul palco riesco a esprimere il meglio di me. Mi sento pervasa da una grande energia e sento svanire qualsiasi paura, qualsiasi preoccupazione.

La tua musica è un miscuglio tra blues, soul, pop e folk. Ti consideri una musicista statunitense o italiana?

Cantanti come Alanis Morissette, Norah Jones, Dolores O’Riordan, Carole King e Tracy Chapman mi piacciono molto ma le ho scoperte dopo aver composto diversi brani. In realtà considero tutto ciò che ho scritto qualcosa di molto personale. E’ l’espressione del mio mondo interiore. Sono andata avanti trovando la forza dentro di me ed è questo, ad esempio, il concetto alla base del testo di “May I”. E’ una sorta di preghiera in cui mi auguro di poter affrontare e superare le difficoltà della vita con le mie forze. Un augurio rivolto a chiunque la ascolti.

Mi pare che negli States tu ti sia trovata molto bene. Come hai vissuto il tuo ritorno in Italia?

Ormai la mia vita era lì, naturalmente lasciare tutto non è stato facile. Ma io mi sento italiana e napoletana. Sento un legame profondo con la mia terra, persino con il Vesuvio. Quando ho visto le immagini dell’incendio dello scorso anno mi è venuto da piangere. Insomma, ci ho messo pochissimo a sentirmi di nuovo a casa. E poi ho avuto la fortuna di incontrare Elio, che è un amico e un grande musicista. La sua chitarra mi accompagna quando porto in giro i miei brani e mi è sempre vicino. Suonare con Eugenio Bennato, poi, per me è un grande onore. E’ un mito, amo molto la sua musica e i suoi testi. E lavorarci insieme è davvero piacevole.

Nelle tue canzoni c’è sempre questa spinta a rialzarsi. Inevitabile pensare al fatto che hai vissuto momenti difficili. C’entra l’amore?

Ho avuto storie importanti. Alcune molto sofferte. Naturalmente nelle mie canzoni c’è anche quello. In una, soprattutto (sorride, ndr). Quando ascolterai l’album la riconoscerai.

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