Si può rimanere sorpresi ma per un lungo periodo Napoli è stata tra le città più industrializzate d’Italia alle spalle soltanto di Milano, Torino e per qualche momento Genova. Poi è cominciata una lunga desertificazione industriale, basti ricordare ad esempio la chiusure dell’Italsider di Bagnoli, delle raffinerie di Ponticelli e San Giovanni, dell’Ansaldo e dell’Olivetti di Pozzuoli.
Una perdita secca di migliaia di operai, impiegati e dirigenti, di reddito e di quello che potremmo definire civiltà del lavoro. Una desertificazione, come ha ricordato su questo stesso giornale il responsabile nazionale per il Mezzogiorno del Pd Nicola Oddati, che continua come sembra accadere con la desertificazione naturale del Maghreb e della Sicilia. Come è noto rischia la chiusura una antica e specializzata fabbrica di elettrodomestici, famose le lavatrici: la Whirlpool di via Argine a Napoli. Così come la Jabil di Marcianise.
Un colpo quest’ultimo, anche simbolico, a quella Campania felix, a quella Terra di Lavoro che per tanti anni ha reso Caserta una città d’avanguardia. Se pensiamo al Mezzogiorno viene alla ribalta immediatamente la paventata tragedia, perché una tragedia sarebbe, della chiusura dell’ex Ilva di Taranto. Una delle più grandi e strategiche fabbriche d’Europa. Oltre al dramma dei lavoratori, questa chiusura coinciderebbe con la crisi di una intera città e, sui tempi lunghi, con la perdita per l’intera Italia di un’azienda strategica, produttrice di acciaio. Questa situazione meriterebbe interventi urgenti non solo della sinistra, come ovvio. Ma se ci riflettiamo un attimo dell’intera classe politica meridionale.
Dei 5 Stelle innanzitutto, che esprimono il ministro del Lavoro il quale, mi dispiace dirlo, sembra spaesato, stordito, incapace perfino di inventare qualche furbesco slogan come quelli usati generalmente per prendere in giro i suoi elettori. Fortunatamente rispetto ad un tempo il sindacato ha ritrovato unità e per quello che può ha riprovato a costruire un rapporto con i lavoratori in difficoltà gettando le premesse di quello che potrebbe e dovrebbe essere una nuova dimensione della lotta sindacale in difesa dei diritti e della stessa sussistenza di migliaia di donne e uomini. Temo che per ora sarà una battaglia di testimonianza giacché le condizioni culturali, sociali ed economiche sono poco propizie ad affrontare seriamente la questione.
Ci vorrebbero più investimenti produttivi e meno spreco di risorse per fini elettorali, ripristino di diritti e ammortizzatori lasciandosi alle spalle il mito della spontaneità del mercato, della flessibilità che ha dominato gli ultimi trent’anni come se non mutassero le condizioni economiche, politiche e sociali. Ma, soprattutto, dovrebbe mutare la prospettiva con la quale si guarda al mondo del lavoro. Qualcosa si muove, nonostante tutto.
La via italiana alla riduzione dell’orario di lavoro parte da Luxottica. La dirigenza italiana della multinazionale EssilorLuxottica e il sindacato hanno firmato un contratto integrativo aziendale innovativo, di buono auspicio per le relazioni sindacali e industriali già altre volte sperimentata dalla grande azienda. Il nuovo contratto introduce un piano di azionariato diffuso per i dipendenti ma soprattutto un nuovo orario di lavoro ridotto. Si prevede una retribuzione oraria superiore rispetto al tempo pieno. Una novità che rende possibile la stabilizzazione di oltre 1.150 lavoratori a termine.
“Sono felice di questo nuovo accordo, perché risponde a un concetto semplice: più è sincero e pieno il rispetto per il lavoratore, qualunque lavoratore, più è alta la qualità del suo contributo e della sua esperienza in azienda – spiega Leonardo Del Vecchio, presidente esecutivo Luxottica Group- Continueremo a investire su dignità e stabilità del lavoro, attenzione costante alle famiglie, ai bisogni e al bilanciamento vita-lavoro delle nostre persone”. Un accordo lungimirante che ricorda lo spirito di Adriano Olivetti, un imprenditore “sognatore” venuto alla ribalta della storia industriale con troppo anticipo sui tempi.
E’ una cultura politica che va ricostruita (il Pd dovrebbe farsi protagonista di una svolta di questa portata evitando di inseguire l’agenda politica della Lega che presto si rivelerà vecchia quanto dannosa). E pensare che in questi giorno il Governo ci propina una legge sulla Pubblica amministrazione, inutilmente repressiva, stantia, nevrotica come chi l’ha immaginata. Servirà solo a demotivare ulteriormente i lavoratori con grave danno anche per gli utenti. Ma così va il mondo. La società è sempre più avanti delle istituzioni. C’è da augurarsi che queste ultime non si accorgano troppo tardi degli errori commessi.