Ei fu

Vincenzo D'Anna, già parlamentare

Così comincia la famosa poesia di Alessandro Manzoni “Il Cinque Maggio” dedicata alla morte di Napoleone Bonaparte. In quell’Egli privato del nome e del cognome, c’è il più alto riconoscimento che l’autore dei “Promessi Sposi” rende al dominatore di un’epoca, tra i più grandi (e amato) dei Francesi. Così è per la morte di Silvio Berlusconi, per la dipartita di un uomo che, nel bene o nel male, ha segnato, per trent’anni, la vita politica ed il costume degli Italiani. Amato ed odiato, idolatrato ed esecrato come nessuno prima di lui, il Cavaliere ha saputo cogliere successi elettorali senza precedenti ma anche subìre lotte che hanno spesso travalicato ogni limite morale ed ogni regola parlamentare. Perseguitato decine di volte dalle toghe politicizzate, in sintonia con la sinistra (come il caso Palamara ha purtroppo disvelato), l’ex premier è stato sovente elevato a simbolo della corruzione, un argine insormontabile nelle urne e quindi un nemico da abbattere per via giudiziaria. Pur di cacciarlo e di screditarlo, magistrati e giornalisti compiacenti hanno frugato ovunque, dai bilanci delle sue società fino a sotto le lenzuola della sua alcova, arrivando, infine, ad espellerlo dal Senato della Repubblica, con una legge retroattiva contra personam, come la Severino. Intendiamoci: Berlusconi non è stato uno stinco di santo ma pur di osteggiarlo si è arrivati ad elevare al rango di reato taluni suoi peccati, condannandolo, paradossalmente, per interposta persona, al posto di Fedele Confalonieri per un evasione fiscale, cancellando, cioè, il principio costituzionale e giuridico della responsabilità personale. Chi scrive lo conobbe e lo difese strenuamente prima alla Camera e poi in Senato, dall’invidia, dall’odio ideologico e dalla frustrazione che animavano chi gli puntava il dito contro. Avvertii, nell’aula di Palazzo Madama, che qualunque fosse stato l’esito di quel processo politico a suo carico, Berlusconi sarebbe stato cassato tutt’al più dalle cronache ma mai dalla Storia della Repubblica. Nessuno, infatti, avrebbe potuto mai eliminarlo per quello che il Cavaliere aveva rappresentato sulla base del consenso libero e democratico da lui riscosso, per le tante innovazioni introdotte nella prassi politica, per aver sdoganato i principii del liberalismo che la sinistra vetero e post comunista, continuava a denunciare come il male assoluto da evitare. Un istrione, un uomo geniale e brillante con tutto il carico di difetti che si può portare dietro chi detiene una grande ricchezza, enormi e diffusi interessi, un largo consenso popolare ed il potere del governo della Nazione. Spesso il fondatore di Forza Italia recitava un copione prestabilito che aveva introitato fino a crederci egli stesso, alternando grandi gesti di generosità con l’abitudine a mentire, a circondarsi di muti astanti, scambiando la fedeltà interessata con la lealtà di coloro che, non avendo niente da chiedere, osavano obiettare (come capitò al sottoscritto). La sua parabola cominciò con un programma di stampo veramente liberale, con parole accurate ed emozionanti che erano innovative e rumorose nella palude stagnante della politica politicante, quella menzognera e inamovibile. Agli inizi, si accompagnò col più bei gruppo di filosofi, intellettuali, economisti liberali esistenti in giro, per finire, man mano, a depauperare l’idealità e le intellighenzie di cui pure si era inizialmente servito. Insomma: passò, nel giro di pochi anni, da principe illuminato a satrapo, mendace ed incontinente, fino a soccombere alla gogna politicizzata propinatagli, per vari lustri, dagli avversari. Nonostante fosse sprofondato nel declino del consenso elettorale, manteneva un suo consistente elettorato . Berlusconi, per dirla alla Manzoni, vinse e brillò ovunque mettesse mano, dalla nuova imprenditoria dell’era digitale, allo sport, dal cinema alla politica internazionale che lo vide recitare ruoli di prima grandezza. Ora che è stato consegnato al giudizio dell’Onnipotente (ed a quello degli storici), lascia comunque un senso di vuoto che credo percepito non solo tra i suoi ammiratori ma anche tra i suoi antagonisti. In un Paese come il nostro, ove l’odio sociale degli ignoranti, il trasformismo dei beneficiati politici, il tradimento cinico e calcolatore dei politici (necessario per salire sul carro del potente di turno) rappresentano una caratteristica quasi ontologica oltre che diffusa (nel mentre scarseggia l’ammirazione per i capaci), è difficile rimanere nel cuore della gente. Questo però non varrà per il Cavaliere il quale, ne sono certo, saprà andare ben oltre questa triste regola rimanendo a lungo nei sentimenti degli Italiani sia per i pregi, sia per i difetti che lo hanno reso gradito anche a molti. La lezione che dalla scomparsa del Cavaliere si può trarre è quella che sia andato via un grande uomo, un personaggio che ha fatto del bene senza mai attingere un solo centesimo dalle tasche dei contribuenti, pagando un miliardo e più di tasse per le sue imprese ed attività, dando lavoro q decine di migliaia di persone. Sul versante politico vero e proprio, buona parte di quelle idee che hanno modernizzato le dinamiche e l’organizzazione della politica stessa, sono destinate a sopravvivere lui. Idealmente Berlusconi ha irrorato di nuovi contenuti e valori l’agire politico e la nascita delle coalizioni tra partiti e questo gli va riconosciuto, senza se e senza ma. Sissignore, possiamo dirlo: con Silvio scompare un grande italiano.
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