Fontana: “Chi è scappato al Sud tornerà al Nord, non viceversa”

L'intervista al governatore della Lombardia

Foto Gian Mattia D'Alberto / LaPresse Nella foto: Attilio Fontana

MILANO – “Quando i numeri hanno iniziato a retrocedere, ho pensato che Dio esiste e che stava cominciando a guardare la mia regione”. Lo dice così, Attilio Fontana, il presidente della Lombardia, con un filo di voce e senza mai cambiare tono. “Siamo sulla strada giusta, finalmente si è stabilizzata la leggera discesa, ci avviamo verso la fine ma non siamo ancora alla fine. Dobbiamo tenere duro, la mia preoccupazione è che la gente si lasci andare e abbassi la guardia. Questo virus, a meno che non sia giusto cosa sostiene il professor Montagnier e cioè che dopo 60-70 giorni scompare, sarà una realtà con cui dovremo coesistere”, ammette durante l’intervista a LaPresse.

In effetti, sono molte le grane da risolvere. Ancora da risolvere. Fontana lo sa, nonostante abbia spinto per allentare il lockdown. Lo sa e non si nasconde: “La ripartenza del 4 maggio, in qualsiasi modo avvenga, non sarà come quelle tipiche di settembre, dopo l’estate”, sottolinea, e “Milan tornerà a essere una gran Milan, solo quando verrà trovato il vaccino”. Tempi lunghi. Quando si calò per la prima volta una mascherina su naso e bocca, durante una diretta Facebook, non andò benissimo: “Sono stato accusato di essere uno sciacallo, magari fosse stata solo ironia quella su di me. Me ne dissero di tutti i colori. Ecco, forse non avevo torto”, evidenzia il presidente ‘lumbard’.

Ora sembra quasi volersi prendere una rivincita, ma non lo fa. Aspetta, Fontana. Con fiducia: “Nonostante tante persone si stiano augurando il contrario, dimostreremo di essere una regione modello. Perché in Lombardia ci sono i lombardi e i lombardi hanno sempre qualcosa in più. Una capacità creativa, una determinazione, una voglia di affrontare i problemi senza piangersi addosso che esistono solo qui”.

Riaperture? Si ma non differenziate: “Una iniziativa di questo genere può essere presa solo in maniera condivisa e paritetica per tutte le regioni. Magari ci possono essere passi in avanti per qualcuno. La considerazione più logica, nel momento in cui dovessero aprire le attività produttive, è il rischio che siano le persone scappate al Sud che devono tornare al Nord, dove lavorano, e non viceversa. Anche perché le attività economiche delle nostre regioni e del nostro Paese sono talmente interconnesse che bloccare le attività in qualche zona d’Italia rischia di creare danni gravissimi”.

Eppure non va tutto liscio. Il caso doloroso delle Rsa sta allungando ombre minacciose: “Non credo di aver sbagliato. Se il discorso è generico sulle Rsa, la gestione è privata nell’87 % dei casi e negli altri ci sono delle combinazioni cui partecipano anche i comuni. Lì non potevamo fare altro che svolgere controlli. Controlli che le nostre Ats hanno fatto e siamo al di fuori da ogni contestazione. Per quanto riguarda invece la famosa delibera che consentiva di trasferire nelle Rsa alcuni malati che stavano uscendo dagli ospedali, noi abbiamo posto delle condizioni assolutamente rigorose”.

“Tanto è vero che solo 15 su 705 delle Rsa che ci sono in Regione Lombardia hanno aderito a questa proposta. Era una situazione assolutamente priva di rischio”, la spiegazione del Governatore. La Lombardia ha stanziato tre miliardi in tre anni per finanziare infrastrutture e sanità “e questi sono soldi veri, non garanzie”, tuona Fontana.

“Vorremmo che entrassero nel circuito economico con la massima urgenza. Non a caso per i primi 400 milioni chiediamo ai comuni e alle province di cantierizzare i lavori entro la fine di ottobre. Uno dei consigli che abbiamo dato e di fare tanti interventi piccoli sotto la soglia del 150 mila euro in modo da essere più rapidi nello svolgimento dell’assegnazione dei lavori e di non ricorrere alle gare che sono lunghe. Per il rilancio economia bisogna partire dal basso, dalle piccole imprese”. Un tema già affrontato in cabina di regia, perché il dialogo con Giuseppe Conte prosegue.

Fontana, in fondo, è per la distensione dei rapporti: “Con il premier ci sentiamo abbastanza spesso e ci confrontiamo: molte volte andiamo d’accordo, alcune invece no. E ci mancherebbe altro… La correttezza sta alla base dei nostro rapporto anche quando io accusavo lui e lui accusava me. Anche dopo la mia volontà di ripartire, quella telefonata è sta cordiale…”.

Vittorio Oreggia (LaPresse)

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