Giorgetti sulla ripresa socio-economica del Paese: “Ridisegnare le filiere industriali”

Foto Roberto Monaldo / LaPresse in foto Giancarlo Giorgetti

ROMA – “Ridisegnare le filiere industriali”. E’ il monito che il Ministro dello sviluppo economico per la rinascita di un Paese martoriato dalla pandemia. E sulla situazione attuale ha detto “Restiamo oggettivi, la trasformazione energetica, tecnologica e industriale rischia di aprire ferite sociali con milioni di disoccupati e generare contraccolpi nelle urne. Anche per questo della cronaca è meglio non parlare, perché non cambierebbe molto: c’è stato un clima di sospensione durato fino al voto per il Quirinale, quindi i partiti saranno proiettati sempre di più verso il traguardo delle elezioni. Il governo deve lavorare nel modo più efficace possibile in questo quadro

La condanna del Superbonus

Giorgetti ha sposato la stessa linea del premier Mario Draghi sull’attuale efficacia del Superbonus, sottolineandone ora come ora la pericolosità che potrebbe avere sull’economia italiana: “In legge di Bilancio – ha detto – il governo aveva cercato di limitarlo, poi il Parlamento ha deciso di allargare le maglie, anche troppo. Ora costerà moltissimo. Stiamo mettendo un sacco di soldi sull’edilizia che, per carità, può aver avuto senso sostenere nella fase più dura della pandemia e di certo contribuisce chiaramente alla crescita. Ma ora droghiamo un settore in cui l’offerta di imprese e manodopera è limitata. Stiamo facendo salire i prezzi e contribuiamo all’inflazione”.

Ridisegnare le filiere

Giorgetti ha poi sottolineato la scarsa efficacia dello “Stato di fronte alla rivoluzione digitale e energetica o allo choc che investe l’automotive, che deve uscire dai modelli endotermici tradizionali. Invece diamo soldi ai miliardari per ristrutturare le loro quinte case delle vacanze. Ride tutto il mondo. Intanto rischiamo che dilaghi la disoccupazione nell’industria spiazzata dall’imposizione del passaggio all’auto elettrica entro il 2035. Se ci sono decine di miliardi per ridisegnare le filiere industriali, bene. Ma in caso contrario, che stiamo facendo? Droghiamo certi settori e ne lasciamo a languire altri, quelli strategici per l’Italia“.

Una scelta politica 

Giorgetti sostiene che il passaggio all’elettrico è una scelta soprattutto politica con consequenziali costi sociali costi sociali: “Va abbattuta la Co2 – ha detto – Ma manca una valutazione industriale, sulla sovranità tecnologica e l’autonomia strategica dell’Europa. In tutta questa febbre per l’auto elettrica, chi fornisce le materie prime è la Cina. È lì il controllo di gran parte del litio, cobalto, silicio. Significa mettere il primo settore manifatturiero d’Europa in mano ad altri, lontano da noi. Possibile che nessuno ci pensi?”.

L’uscita dal motore a combustione

Seppur l’auto elettrica non sia imposta dall’Ue, agli Stati si chiede di uscire dal motore tradizionale entro il 2035: “l’impostazione è chiara. Quando alla Cop26 di Glasgow c’è stata la dichiarazione sull’ineluttabilità dell’elettrico, solo la Germania e noi abbiamo votato contro”. Per cui “Draghi mi ha chiamato, mi ha chiesto perché mi ero opposto e gliel’ho detto. Siamo per il principio di emissioni zero, ma sulla base della neutralità tecnologica. L’idrogeno può diventare competitivo. E in Italia abbiamo brevetti fra i più avanzati nei biocarburanti. Perché non viene riconosciuto? E anche l’auto ibrida, che ora non piace, può avere un ruolo. Soprattutto in assenza di una rete adeguata di colonnine di ricarica. Con questa furia per l’elettrico ideologica, etica, rischiamo l’autogol”. E sul futuro delle aziende che producono il motore tradizionale Giorgetti ha precisato che “se Volkswagen punta sull’elettrico, siamo molto esposti. Eppure il governo non sembra avere una politica industriale. Il Pnrr si potrà ritoccare, perché il mondo cambia così in fretta che non ha senso lasciare tutto fermo alla foto di un solo momento“.

La politica industriale

Quanto alla politica industriale Giorgetti ha sostenuto che va sviluppata, e che “lo stiamo facendo: in primo luogo dobbiamo reintrodurre incentivi per attivare il mercato di tutti i veicoli ecocompatibili, non solo elettrici. Poi siamo molto vicini, questione di pochi giorni, alla firma per la Gigafactory di Termoli dove Stellantis farà le batterie. Ma la nuova filiera elettrica richiederà comunque metà della manodopera oggi impiegata da quella tradizionale. Le imprese dell’automotive vanno aiutate a riconvertirsi, rendendo disponibili gli accordi di programma e i contratti di sviluppo. Ma sono strumenti troppo lenti, burocratici. Questo settore va finanziato massicciamente, lo abbiamo già chiesto al ministero dell’Economia”. Attraverso “incentivi ad aggregarsi, ingresso nelle filiere a monte e a valle dell’elettrico. Per esempio, nel riciclaggio delle batterie. O nella produzione di bus verdi in Italia, altrimenti i 4 miliardi che abbiamo su questo nel Pnrr finiremo per spedirli in Cina”.

Il tabù energia

E su dove prendere l’energia Giorgetti ha sottolineato: “Invidio Emmanuel Macron, che annuncia sei nuove centrali nucleari. Da noi purtroppo è un tabù. Eppure se ora tutte le macchine fossero elettriche, non sapremmo come alimentarle. Dunque le rinnovabili sono una risposta, ma non la sola. Per fortuna il gas è tornato fra le fonti ammesse in Europa per la transizione. Dobbiamo diversificare al massimo i fornitori, rafforzare i rigassificatori, aumentare la produzione nazionale. Ma anche qui, niente illusioni: non si tornerà ai prezzi bassi di due anni fa, perché la Cina deve uscire dal carbone e inizierà a drenare molto gas

Il caro bolletta

E sul caro bolletta il Ministro ha spiegato che “non si vuol fare uno scostamento di bilancio già a inizio anno, che invece servirebbe, dunque si raschia un po’ il barile per trovare cifre importanti anche se non risolutive. Tutti pensano all’industria energivora classica, da aiutare. Ma anche per una pizzeria o una piscina l’energia è il 30% del conto economico. Il credito d’imposta al 20% sugli aumenti in bolletta rispetto al 2019 si può aumentare in base alle risorse disponibili. Di certo per distribuire reddito bisogna produrlo e se non tuteliamo i settori industriali, non ci saranno risorse. I politici dovrebbero andare nelle fabbriche a vedere cos’è la creazione di ricchezza. Qui se un benestante si ristruttura casa a spese dello Stato mentre l’industria non ce la fa a andare avanti, qualcosa non mi quadra

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