Gli incontri con i politici e i pizzini: le tracce per colpire Michele Zagaria

Il primo (e finora forse l’unico a fornirle) è stato Generoso Restina. Non perché era uno di famiglia. Ma Gerry, come lo chiamavano gli amici in Emilia Romagna e a Casapesenna, era un tipo curioso

CASAPESENNA – Una ‘ndrina. Perché i segreti, quelli che contano, sono un patrimonio di famiglia, conosciuti soltanto da chi ha lo stesso sangue: fratelli, sorelle e figli. Il clan Zagaria funziona così. E le casseforti della cosca, i politici che hanno trattato con il padrino, le protezioni e il ruolo nell’emergenza rifiuti rischiano di essere capitoli inenarrabili.

Effetto Restina

Le tracce, però, ci sono. Il primo (e finora forse l’unico a fornirle) è stato Generoso Restina. Non perché era uno di famiglia. Ma Gerry, come lo chiamavano gli amici in Emilia Romagna e a Casapesenna, era un tipo curioso. Attento. Dal 2005 al 2008, con Anna Aversano, la moglie, ha ospitato il padrino nella sua abitazione di via Colombo. E quando Michele Zagaria Capastorta gli affidava un pizzino a volte non si limitava a consegnarlo: prima lo apriva, leggeva, richiudeva e soltanto dopo lo portava al destinatario. Ascoltava tutto. Ed in tre anni ha acquisito informazioni che neppure affiliati del calibro di Massimiliano Caterino e Michele Barone sono riusciti ad avere. Oneri e onori del vivandiere, di chi è fisicamente presente durante la latitanza del boss.

Quando ha scelto di collaborare con la giustizia, ammettendo di aver aiutato Capastorta a nascondersi, alla Dda si è aperto un mondo. Una parte è stata esplorata negli ultimi anni: interessi economici all’estero, imprenditori e politici locali collusi. Ma c’è dell’altro e si trova nella porzione inesplorata, fatta di nomi altisonanti e da business coperti. Ficcarci il naso, rischiando di scottarsi, cercare di capire, temendo di essere bruciati, significa attivare la ‘Fase 2’ (usando un termine ormai caro all’emergenza coronavirus).

Il collaboratore di giustizia Nicola Schiavone

Schiavone e Ciccio ‘e Brezza

Restina ai magistrati ha indicato i colletti bianchi ‘insospettabili’. Ha parlato di chi, con massima segretezza, si è incontrato con il boss. Notizie che sommate a quelle più recenti, fornite da Nicola Schiavone, il nemico numero uno ‘interno al clan’ di Zagaria, saranno in grado di ricostruire una sezione della rete ‘occulta’ dei casapesennesi.

Un altro pezzo del puzzle iniziato da Restina è stato offerto pure da Ciccio ‘e Brezza, al secolo Francesco Zagaria: dallo scorso luglio l’imprenditore, che in nome del clan faceva affari tra San Prisco, Capua e Santa Maria Capua Vetere, ha iniziato a collaborare con la giustizia.

Essendo stato fino al 2017 (data del suo primo arresto) uno dei pochi affiliati ‘immacolati’, fisiologicamente si è trovato a gestire, di striscio, parte di quegli affari che per anni sono stati ‘cose di famiglia (in senso stretto)’.Il colpo di grazia ‘immediato’ alla cosca potrebbe arrivare con la collaborazione di un congiunto di Zagaria: ipotesi remota. Anche se nel 2015 era stato direttamente Capastorta ad un passo dal cedere: annunciò la sua disponibilità a farlo (pentirsi) in una lettera indirizzata alla sorella Beatrice. Ma la donna lo bloccò.

Segnali pericolosi

Ora l’aver concesso i domiciliari a Pasquale Zagaria ha mediaticamente dato linfa al gruppo mafioso. Mentre il tribunale di Sorveglianza e il Dap si ‘palleggiano’ la responsabilità di aver spedito il fratello di Michele ai domiciliari a Pontevico, dalla moglie Francesca Linetti, resta il segnale negativo dato dallo Stato: la struttura carceraria, durante l’emergenza sanitaria, non è riuscita ad organizzare la permanenza in prigione di un boss al 41bis (dopo aver subito un intervento chirurgico). E si fa spazio, così, l’idea che possano riprendersi fisicamente il territorio. Perché fuori, ormai, da diversi mesi, c’è già pure un altro fratello del capoclan: Carmine Zagaria è a San Marcellino ‘con obblighi’.

Filippo Capaldo

Arresti in casa, in attesa della Cassazione, anche per la sorella Beatrice, mamma del delfino Filippo Capaldo (in cella a terminare di scontare la sua pena e cautelarmente pure per la vicenda latte). Fatta eccezione per il capoclan, condannato all’ergastolo, tutti i ‘generali’ del gruppo, nei prossimi anni, potranno tornare nell’Agro aversano.

Contatti ‘segreti’

L’arma che hanno gli investigatori per reagire all’avanzata è scavare: analizzare e collegare. E scavando potrebbero riuscire a far luce anche su uno degli aspetti più misteriosi della mafia casapesennese: quella dove, a quanto pare, la latitanza di Michele Zagaria si è intrecciata con l’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna), toccando il piccolo Comune di Grazzanise. Secondo la Dda ed una sentenza di primo grado, nel 2009 il sindaco Enrico Parente si è recato in Austria per incontrare il boss.

In alto Michele Zagaria, in basso Enrico Parente

Tra il 2012 e il 2013 alla Commissione d’accesso, che era arrivata in Municipio per accertare le ingerenze del clan nell’attività amministrativa, in una deposizione (poi segretata), Parente, scomparso nel settembre del 2016, sostenne di aver avuto contatti con un maggiore dei servizi segreti proprio in relazione alla figura di Zagaria. Al momento ci sono soltanto tracce. Bisogna partire da quelle date da Restina, dagli incontri con i politici che ha riferito, dai pizzini che ha letto. Gli investigatori hanno cominciato da lì. Lavorano per fare in modo che quando gli altri mafiosi usciranno (con o senza responsabilità del Dap o della Sorveglianza), potranno gestire soltanto le ceneri del clan.

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