Gli indifferenti

Sono alcuni anni che, nel nostro Paese, la gente giudica con distacco, quasi annoiandosi, le vicende politiche, economiche e sociali che le si parano innanzi. La continua delegittimazione dell’agire e della rettitudine morale dei protagonisti della vita pubblica, è iniziata con la lotta senza esclusione di colpi contro la scalata al potere di Silvio Berlusconi. Una lotta che ha diffuso l’idea che in politica non vi fossero altre finalità se non quelle dell’arricchimento personale e della bramosia del potere. Neanche l’ovvia evidenza che in democrazia gli eletti e gli elettori si somiglino e che i primi siano espressione della volontà dei secondi, ha diradato quel convincimento. Un sentimento di distacco e di neghittosa apatia, ulteriormente accentuatosi con l’avvento, sulla scena politica nazionale, del Movimento grillino con il suo portato culturale, qualunquistico e populistico. I pentastellati, infatti, si sono presentati sul proscenio nazionale sull’onda di una martellante campagna di criminalizzazione degli uomini pubblici fino a quel momento impegnati nel governo degli enti amministrativi e dello stesso Parlamento. Un’abile tattica, quella della mistificazione della realtà storica italiana, rivelatasi molto utile ai 5 Stelle. Una scorciatoia tanto falsa quanto gradita alla gente comune. In fondo, quella tesi disegnava una falsa realtà che esonerava gli elettori da qualsiasi responsabilità e malcostume. Rimaneva solo la classe dirigente dipinta come pietra dello scandalo e della crisi economica accentuata dalla montagna di debito pubblico. In sintesi: tutti candidi ed immacolati i cittadini, tutti riprovevoli i governanti e gli amministratori i quali avrebbero sperperato in ruberie e privilegi di casta l’equivalente del debito statale. Una colossale bugia! Insomma, in una Nazione ove i tre quarti della spesa statale si consumano in pensioni, stipendi per il pubblico impiego, sanità ed interessi passivi da pagare sul debito statale, nessuno pare avesse mai beneficiato di sussidi, raccomandazioni e leggine varie. Un colossale colpo di spugna per un intero popolo di levantini vissuti, spesso, al di sopra dei propri mezzi, incalliti evasori fiscali. Clienti che di mestiere facevano gli elettori. Molti tra questi indossarono anche i vestiti dei latori di una nuova etica pubblica, di fustigatori dei pubblici costumi, intemerati fautori della gogna e delle manette al posto dello Stato di diritto. Un siffatto corpo elettorale non conferisce certo alla Nazione governi coerenti ed efficienti che, col fallimento dei medesimi, determinano ulteriore disillusione nella popolazione ed ulteriori appetiti nei petenti. Il combinato disposto di questa situazione, che si trascina da un quarto di secolo, è la concomitante chiusura dei partiti politici, l’abiura oppure la cancellazione di qualsivoglia idealità politica. Insomma è l’indifferenza a trasformarsi nel sentimento più diffuso tra la gente comune. Quella descritta non è fenomenologia sociale nuova ma solo rinnovata. Basta leggere il ruolo e la funzione svolta dall’agiata borghesia italiana
durante il Fascismo, nel romanzo di Alberto Moravia “Gli indifferenti” ove vivono personaggi cinici e fatalisti, abulici ed impotenti innanzi alla tragedia sociale e politica che attraversava le loro vite, per rendersene conto. Così come avvenne alla borghesia tedesca narrata nei “Buddenbrook” di Thomas Mann, durante il trapasso dalla democrazia al nazismo. Parimenti per quella francese, gran parte della quale finirà col parteggiare con il governo collaborazionista di Vichy guidato da Philippe Petain durante l’occupazione nazista del Paese. Albert Camus nel romanzo “Lo Straniero“ descrive addirittura una società nella quale vive un uomo in preda all’atarassia, un’anima anafettiva capace finanche di uccidere senza provare alcunché. E’ questa la fine a cui siamo destinati al termine di questa deriva sociale? È questo il prezzo che la società resa opulenta dal consumismo e dalla libertà assicurata a buon prezzo, dovrà pagare? I sintomi di questa patologia sono il qualunquismo e la dequalificazione della politica, l’ignoranza diffusa di un’istituzione didattica ridotta alla funzione di mera assistenza ed accoglienza sociale, il relativismo etico che si è accentuato con i principi della globalizzazione? A coloro che ancora cincischiano intorno ad un progetto di rilancio della politica e dei suoi valori, ad una scuola che istruisca, ad una società che tenga conto di quello che ha un valore e non solo di quello che ha un prezzo, sia ben chiara questa terribile prospettiva esistenziale. Sembrano temi filosofici lontani dalla quotidianità e dalle cose che interessano la gente comune. Non è affatto così perché così non è stato allorquando qualcuno, in passato, ci ha tolto la libertà e la scelta di vivere in pace.

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