Green pass e democrazia

La senatrice calabrese Bianca Laura Granato, una delle tante pentastellate che dopo aver varcato le soglie dei palazzi del potere romani è fuoriuscita dal Movimento (nel suo caso cacciata), negli scorsi giorni si è presentata a Palazzo Madama senza green pass. La 51enne insegnante, e per questo osservatrice privilegiata del mondo della scuola, ha rivendicato il gesto attraverso i suoi canali social: “Siamo cittadini e non sudditi. Rivendichiamo il diritto alla tutela della salute del cittadino secondo quelle che sono le proprie convinzioni: anche per questo non entrerò con il Green Pass in Senato, non ho intenzione di esibire la tessera dell’obbedienza”, affermava.
Possiamo del resto comprendere le rimostranze della senatrice: siamo cittadini e non sudditi. Sebbene non sia un re, una monarchia o un regime ad imporre, ad esempio, ai colleghi uomini di entrare negli stessi palazzi a rappresentare noi tutti con l’obbligo di indossare una cravatta. Questo benché la dimenticanza di una cravatta come motivo di non rappresentanza sia forse un tantino più raccapricciante del diniego a esibire un certificato o fare un tampone che ne attesti la non positività mettendo al sicuro l’intera aula e i lavori parlamentari tutti. Sono cittadini e non sudditi anche gli appartenenti alle forze dell’ordine che devono identificarsi con un distintivo, i medici e gli infermieri, i vigili del fuoco e anche tutti i lavoratori che dal 15 ottobre hanno l’obbligo di green pass per andare a lavoro.
Il gesto da cittadino e non suddito di Bianca Laura Granato, che come recitava un adagio cult del Beppe Grillo agli albori dei 5 Stelle “non è onorevole ma è un nostro dipendente”, sapete cosa ha provocato? Vi riassumiamo brevemente la giornata da protagonista della Granato: all’ingresso del Palazzo, dove la attendevano in commissione Affari costituzionali (ribadisco, pagata per questo), non ha voluto esibire il green pass. Nonostante ciò, Granato è arrivata in Commissione, si è anche seduta e il presidente della Affari Costituzionali Dario Parrini, informato dai questori, ha dovuto sospendere la seduta (con conseguente perdita di tempo). Il caso è quindi passato al Consiglio di Presidenza (con conseguente perdita di tempo) riunito appositamente per ribadire l’ovvio: “I senatori che rifiuteranno di esibire il green pass, non potranno più entrare a Palazzo Madama e nei palazzi adiacenti che fanno capo al Senato”. Per Granato è scattata una sospensione di 10 giorni.
Ciò nonostante, la cosa davvero assurda di tutta questa situazione è che la seduta sospesa aveva all’ordine del giorno (tra gli altri) indovinate cosa? Ebbene sì, l’esame del decreto legge 127/2021, quello che impone il certificato sul luogo di lavoro. In poche parole, la senatrice Granato attraverso le sue scelte si è auto-preclusa la possibilità di discutere nelle sedi preposte di ciò su cui voleva porre attenzione. La rappresentante dei cittadini Granato “e nostra dipendente” aveva l’occasione di discutere democraticamente di quella che ha definito la questione dei cittadini-sudditi nelle massime stanze dello Stato italiano rappresentando le istanze (giuste o sbagliate) dei tanti “no green pass” e non l’ha fatto perché non si è fatta un tampone e/o non voleva esibire un certificato (che sostiene di avere e usare regolarmente per i trasporti esclusivamente per recarsi al lavoro, dove però si mette in condizione di non poter lavorare).
Potremmo prendere ad esempio questa storia per spiegare di come in tanti che parlano di “attentato alla democrazia” non ne conoscano i principi fondamentali che la garantiscano, o di come chi urla alla violazione di libertà e libero arbitrio in realtà avrebbe gli strumenti per portare le sue istanze lì dove andrebbero discusse e invece le lascia alla mercé dei social nella speranza di fare incetta di “reactions”. Invece vorrei concludere questo editoriale con una riflessione di un mio caro amico parroco di periferia, di cui non farò il nome per sua volontà, con cui discussi dell’allontanamento di un suo collega mediaticamente sovraesposto, cosiddetto “prete anticamorra”, dalla sua chiesa e dai suoi fedeli. Quel parroco, che è veramente di frontiera, con il suo tono garbato e gentile ma tanto deciso, mi sussurrò: “Se mi metto nella condizione di non poter stare lì dove servo, vuol dire che sto assolvendo male al mio compito”. Granato, ci rifletta.

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