I ragazzi della via Pal

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

I tempi sono cambiati e non saprei dire, oggi, quali siano i libri che i giovani leggono. So però che tra i testi un tempo suggeriti dalla letteratura per ragazzi, c’era quello dello scrittore ungherese Ferenc Molnár, intitolato “I ragazzi della via Pal”. Contiene una storia avvincente con una sua brava morale di fondo, caratteristica, questa, comune un po’ a tutti i libri dell’epoca, che fungevano anche da complemento educativo: due bande di ragazzi si affrontano in una guerra combattuta con spade di legno, elmi di latta, fionde e trabocchetti. Nei due eserciti che si fronteggiano, quasi tutti si sono attribuiti gradi prestigiosi e ruoli decisivi. Uno solo è rimasto un soldatino senza orpelli, ligio ed ubbidiente. Il suo nome è Ernesto Nemecsek. Costui è anche l’unico a morire, di polmonite. Appartiene alla “Società dello Stucco”, la combriccola nemica delle “Camicie Rosse”. La morale di fondo dei “ragazzi della via Pal” è tutta racchiusa nell’esaltazione delle doti di Nemecsek: nobiltà d’animo, lealtà ai principii, umiltà e spirito di solidarietà nei confronti dei compagni di lotta. L’infausta fine del giovinetto ammonisce sul fatto che la vita non sempre premia coloro che sono i migliori ed i più generosi. Una storia che resta indelebile nella mente di ogni adolescente. Almeno di quelli della mia generazione. Orbene, oggi gli agiografi di Vincenzo De Luca non ci hanno ancora rivelato se il governatore della Campania abbia letto o meno quel libro. Certo se lo ha letto, non ne ha tratto alcun insegnamento deontologico. Men che meno lo ha utilizzato nel lungo e tortuoso percorso che ha vissuto come politico ed amministratore. Come uno dei due schieramenti della via Pal, lo sceriffo ha fatto parte delle “Camicie Rosse”, essendosi formato alla scuola del sindacalismo duro e di contrasto tipico dei dirigenti comunisti degli anni ruggenti del secolo scorso. Uomo di apparato, funzionario dipendente del Pci, De Luca ha fatto della politica militante la propria ragione di vita e di sostentamento economico. Niente di male o di strano in un’epoca in cui si fronteggiavano i due grandi partiti di massa italiani: la Democrazia cristiana ed il Partito comunista. Quest’ultimo, dotato di una forte impronta ideologica, aveva aspettative messianiche basandosi sullo storicismo, le profezie e l’avvento delle tesi marxiste, che annunciavano la fine, per progressiva consunzione, del capitalismo. Temprato in quel contesto, il governatore si è, via via, rotto a tutte le pratiche ed ai compromessi della politica, pur vestendo spesso i panni del moralizzatore dei pubblici costumi e della politica, come era naturale che accadesse in un partito di opposizione al sistema di governo. Tuttavia in seguito, prima come sindaco di Salerno e poi come parlamentare, egli ha dimostrato di trovarsi a proprio agio anche nella gestione della cosiddetta “politica politicante”, quel piccolo cabotaggio clientelare che mal si concilia con le roboanti e magniloquenti espressioni verbali.

Sia come sia, come sindaco di Salerno, De Luca ha gestito per anni, con mano ferma, le amministrazioni che ha retto, circondandosi di una corte ristretta di pretoriani, tenendo in poco conto gli equilibri di bilancio del Comune, a tutto vantaggio di opere pubbliche e di servizi urbani. Assurto alla carica di governatore, ha ripetuto lo schema di gestione comunale, chiamando a sé una serie di collaboratori di stretta osservanza salernitana. Quelli per i quali il certificato di nascita aveva spesso un valore ben superiore alle capacità politiche. D’altronde un faro non sa che farsene delle lampadine e nel pantheon deluchiano non ci sono altri altari verso i quali poter bruciare grani di incenso. Arguto ed ironico, il presidente sceriffo ha spesso varcato il limite del bon ton contro gli avversari politici con intemerate senza contraddittorio, attraverso l’uso di programmi televisivi inginocchiati innanzi al personaggio. Purtroppo, la corte della quale si è circondato e che spesso ha usato a piacimento, è sovente incappata in inciampi giudiziari sui quali lui ha sempre taciuto, come se la cosa non lo riguardasse. Di volta in volta ha finto di non conoscerli né di aver condiviso con loro la gestione politica amministrativa. E’ accaduto che prima il capo della sua segreteria, poi il suo vice presidente, poi, ancora, il suo consigliere in materia sanità, oltre che una mezza dozzina tra funzionari, designati e delegati, si sono ritrovati sotto la lente dei giudici. Tutti coinvolti in indagini giudiziarie alcune delle quali concluse con condanne, altre ancora in itinere. Come tutti quelli che vestono i panni dei moralisti, De Luca ha pensato bene di occuparsi solo della morale degli altri, perdendo di vista quella di amici e collaboratori. Niente a che vedere, insomma, col buon Nemecsek, ma tanto con la vecchia doppiezza morale dei comunisti incalliti. Un abisso etico tra le storie narrate in via Pal e quelle di via Santa Lucia.
*già parlamentare

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