S. CIPRIANO D’AVERSA – Via dall’Agro aversano per salvarsi la vita. Fuori dagli affari mafiosi per non incontrare il piombo dell’ala del clan che aveva spodestato il loro capofamiglia. Sarebbe stato questo il patto che ha permesso a una parte dei familiari di Antonio Bardellino di potersi radicare a Formia e a un’altra di continuare a risiedere indisturbata tra San Cipriano d’Aversa e Casal di Principe. Ma è un accordo che, almeno dal maggio del 2019, stando alla tesi della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, non è stato più necessario rispettare. Per quale ragione? Perché il mondo bardelliniano sarebbe tornato ad entrare in contatto con quello del clan dei Casalesi.
A far emergere questa collisione pacifica è l’indagine coordinata dal pubblico ministero Vincenzo Ranieri e condotta dagli agenti del centro operativo della Dia di Napoli. Un’inchiesta che ha tracciato la presenza di un nuovo gruppo mafioso di cui farebbero parte Calisto Bardellino, 53enne, e Gustavo Bardellino, 43enne, rispettivamente figli di Ernesto e Silvio (non indagati), fratelli del boss Antonio, Romolo Corvino, 56enne, e Vincenzo Di Caterino, 39enne, alias ‘o piattar.
I due cugini Bardellino, dice la Procura, sarebbero i protagonisti e gli organizzatori della compagine, collegata ai Casalesi, attiva nella zona di Formia e del basso Lazio. Parte dei proventi che la cricca avrebbe racimolato grazie alle sue attività illegali veniva riversata a Corvino e a Di Caterino in veste di referenti dei clan.
Da marginalizzati a riferimento dei Casalesi nel basso Lazio: è l’evoluzione che avrebbe caratterizzato l’ipotizzata compagine mafiosa dei Bardellino. Quest’ultima, hanno documentato gli investigatori, avrebbe avuto una sua autonoma sfera di operatività a Formia e dintorni, ma recentemente l’avrebbe messa a disposizione dei Casalesi quando si è tuffata in business importanti, come quello del mondo delle automobili e del settore immobiliare.
Di Caterino, indagato per associazione mafiosa dal pm Ranieri, è stato arrestato lo scorso novembre nell’ambito dell’operazione, condotta dai carabinieri di Aversa e Caserta, tesa a smantellare le attività messe in piedi dai gruppi Bidognetti e Schiavone. Di Caterino, stando agli elementi raccolti dagli inquirenti, si sarebbe dedicato al traffico di droga e alla compravendita di automobili.
In relazione all’attività investigativa che sta documentando i presunti contatti tra l’ala bardelliniana e il clan dei Casalesi, ieri mattina la Dia, su ordine della Procura, ha perquisito le abitazioni dei quattro sottoposti a indagine e di altri personaggi ritenuti vicini ai Bardellino.
Il pentito D’Angelo: “Calisto il leader del gruppo”
“Il personaggio più rilevante della famiglia”: solo le parole che Vincenzo D’Angelo, genero del boss Francesco Bidognetti, usa per descrivere Calisto Bardellino ai magistrati della Dda.
“Avrebbe dovuto vendicare la sua famiglia se avesse voluto riaffermare il suo potere”, ha dichiarato D’Angelo, da dicembre collaboratore di giustizia. “So che i Bardellino potevano ad esempio rilevare attività economiche nei territori di Formia, Sperlonga, Gaeta, Scauri e Minturno, ma solo se tali attività non erano di interesse degli Schiavone. Mi risulta, in quanto dettomi da Katia Bidognetti (la cognata, ndr), che i Bardellino potevano muoversi come clan autonomo, ma sempre senza disturbare gli Schiavone”. A confermare gli interessi criminali dei Bardellino nel basso Lazio è stato anche il collaboratore di giustizia Antonio Lanza. Quando quest’ultimo, capozona per i Bidognetti nell’area di Lusciano, voleva estendere il suo business dello spaccio nella zona Pontina, venne informato da un suo amico, che aveva conosciuto in relazione al commercio di Rolex, che in quell’area era necessario parlare con i Bardellino.
L’intesa dopo il crollo della cosca Schiavone
A favorire l’intesa tra i Bardellino e il clan dei Casalesi, superando le ruggini passate, ha contribuito, probabilmente, l’uscita dalle scene dei personaggi mafiosi che erano stati protagonisti dello storico scontro che aveva portato all’emarginazione dei familiari del boss Antonio: ci riferiamo agli Schiavone.
Il capo indiscusso di questa cosca, Francesco Sandokan, è in carcere, al 41 bis, da oltre 25 anni e chi aveva designato come suo delfino, il primogenito Nicola, è diventato collaboratore di giustizia. E lo hanno seguito in questo percorso di allontanamento da Casale e dal mondo mafioso, pure la mamma Giuseppina Nappa, le sorelle e il fratello Walter. Insomma, la cosca si è indebolito e le nuove leve che continuano ad animarlo sono storicamente lontane da quella sanguinosa faida. Il gruppo Iovine, che pure aveva avuto un ruolo decisivo nello spodestare Antonio Bardellino, da diversi anni si è sostanzialmente azzerato (anche grazie al pentimento del suo leader, Antonio ‘o ninno, avvenuto nel 2014).
Le aperture di Zagaria
Tralasciando i Bidognetti, che si sono mossi in autonomia rispetto alle altre famiglie del clan, a completare lo scenario restano gli Zagaria di Casapesenna. Ma nel corso dell’ultimo ventennio, a differenza delle altre cosche alleate, hanno mostrato un atteggiamento meno ostile nei confronti dei Bardellino. E lo dimostra il fatto che Michele Zagaria Capastorta, prima di essere arrestato nel 2011, aveva favorito il ritorno in provincia di Caserta di Antonio Salzillo, nipote del boss Antonio Bardellino, con l’obiettivo di mettere pressione a Nicola Schiavone (con cui il mafioso di Casapesenna era in procinto di entrare in guerra). A questa mossa il figlio di Sandokan reagì organizzando un agguato che portò alla morte, nel 2009, Salzillo e del suo autista.
Insomma, chi poteva rappresentare un ostacolo a questa intesa, negli ultimi anni, tra arresti e pentimenti, si è ritrovato ai margini. E ciò che restava del clan ha ritenuto opportuno, a quanto pare, stringere un accordo per provare a recuperare forza (e denaro).
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