Il sessismo strisciante che non fa notizia

l 17 giugno 2001, con un 3-1 inflitto al Parma che porta le firme di Francesco Totti, Gabriel Batistuta e Vincenzo “aeroplanino” Montella, la Roma conquista il terzo scudetto della sua storia. L’attenzione al Circo Massimo, luogo cooptato per le celebrazioni dell’importante risultato sportivo, era tutta però per Sabrina Ferilli. La popolare e bellissima attrice, sogno di tantissimi italiani, aveva infatti promesso ai tifosi uno spogliarello in caso di primato. Sfogliando gli archivi dell’epoca, scopriamo che il Corriere.it sul tema lanciò finanche un sondaggio diretto ai suoi amati lettori: il 58% si dichiarava convinto che la Ferilli si sarebbe denudata per il suo pubblico e per l’Italia intera. L’articolo recitava precisamente così: “C’è da dire che lo strip della Ferilli ha comunque monopolizzato da una settimana a questa parte l’attenzione dei media. Un evento che ha fatto passare in second’ordine (ma non poteva essere altrimenti) l’esibizione del «bardo» dei tifosi giallorossi, Antonello Venditti”.

Il 27 novembre del 2021, poco più di 20 anni dopo il mancato nudo integrale della Ferilli che infine optò per un generoso bikini, il mondo è cambiato e fa (fortunatamente) fatica a riconoscersi in alcune pratiche in uso manciate di decenni fa. E non si possono certo mettere sullo stesso piano donne consenzienti che utilizzano il loro corpo come più le aggrada con vittime di violenza. La collega Greta Beccaglia di Toscana TV è stata vittima di una violenza perpetrata in diretta TV. Un’invasione bella e buona della sua sfera intima attraverso un volgare contatto, una pacca sul fondoschiena da un tifoso di passaggio. Voler derubricare l’episodio a goliardata sta a significare che non abbiamo fatto nessun passo in avanti negli ultimi anni. Invece il passo in avanti è stato fatto e tutti i provvedimenti necessari che dovevano essere presi sono stati presi: Daspo al tifoso, denuncia presentata da Beccaglia, sospensione del presentatore che con leggerezza ha chiesto all’inviata di “non prendersela” (anche se vivamente credo si tratti di un errore, sebbene inqualificabile, dettato da ansia della diretta).

Da qui a dire che il problema del sessismo nel micromondo del calcio si limiti a un palese atto di violenza però c’è una strada infinita. Un percorso fatto di rampanti promesse della tv agli antipodi di Beccaglia e tante altre, coinvolte loro malgrado o con tacito consenso a inscenare su emittenti locali siparietti da film di Pierino ancora oggi, o relegate al trespolo dove si limitano a fare presenza o tuttalpiù a leggere i risultati delle gare. Squadra uno, squadra due, punteggio per intenderci. Donne che forse sarebbero anche più capaci di tanti pseudo-esperti che proiettano nell’etere i loro discorsi da bar in tribune di dubbia utilità e probabilmente in maniera totalmente sgrammaticata. E che invece devono ancora sgomitare in un universo a inaccettabile trazione maschio alpha.
Se ne faccia una questione culturale, perché le regole dell’audience sono specchio della società e queste regole rischiano di mettere al palo (e in posizione da outsider rispetto a posizioni lavorative a cui concorrere) per motivi estetici tante brave colleghe che lo sport lo seguono con passione, amore e competenza. Ma magari si sentono più comode in tailleur.

C’è un sessismo che è anche questo, molto più sottile e “diversamente” pericoloso rispetto alla molestia in strada. È anche scegliere cosa andrà in TV e per quale motivo. Decisioni prese nelle stanze dei bottoni dove se altre donne ci sono o non ci sono, poco cambia. Che la violenza palese non distolga, anzi metta in risalto, l’errore alla base: la donna non è un corpo da oggettivare, ma una persona. E come tale va rispettata. Sempre.

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