Scorreva ormai l’ultimo quarto del secolo XIX quando nel Parlamento dell’ancora giovane Regno d’Italia si discuteva di emigrazione. Erano i tempi in cui, soprattutto dalle parti della nostra Nazione che sembravano meno aperte alle possibilità di nuove impostazioni del lavoro e della produzione, si emigrava verso le Americhe. Già allora il numero degli emigranti italiani appariva molto alto e la situazione poneva interrogativi alla politica del tempo. Fu in quel periodo che l’onorevole Giovanni Florenzano, Deputato salernitano al Parlamento, pubblicò un testo sui problemi della produzione agricola di quel territorio. Egli sosteneva la necessità di impedire, o almeno di limitare, l’emigrazione di tanti concittadini che lasciando la nostra terra la impoverivano di braccia di lavoro sottraendo energie alla nostra produzione. Come sappiamo, quello era il tempo in cui gli elettori venivano ammessi al voto in base al censo, quindi il deputato rappresentava la parte della popolazione che godeva di un certo reddito, garantito prevalentemente dalla proprietà terriera. L’esigenza, allora, dell’onorevole Florenzano era quella di continuare a garantire braccia di lavoro a buon mercato all’organizzazione della produzione che assicurava ricchezza a pochi e una possibilità di ricchezza solo ai padroni. Era una visione della vita sociale chiusa ad ogni possibile innovazione, non aperta a nessun cambiamento capace di sviluppare la stessa produzione, di favorire una più equa distribuzione della ricchezza. Nessuna meraviglia, allora, se chi aveva più coraggio, o forse più grande disperazione, tentasse la via dell’emigrazione.
In qualche modo, ovviamente con forme diverse, oggi sembra che la storia tenda a ripetersi. Ancora il mondo sembra dividersi tra coloro che temono di aprirsi a possibilità nuove, per l’incontro con nuove presenze, e coloro che cercano, con tutta la forza della necessità, una possibilità di vita migliore per sé e per le loro famiglie.
Oggi li chiamiamo “minori non accompagnati” ma già al tempo dell’onorevole Florenzano erano numerose le famiglie che mandavano qualche figlio in terre lontane e poco conosciute, affidandolo anche ad intermediari non sempre onesti.
Ma la storia dell’emigrazione e dell’immigrazione è antica: credo di poter dire che sia iniziata con la vita dell’uomo sulla terra. Nei testi più antichi della Bibbia si parla continuamente di persone in cammino. Qualcuno per vocazione, qualcuno per necessità: Abramo, Giacobbe, Giuseppe e poi i suoi fratelli, Mosè… Il libro del Deuteronomio, che chiude il Pentateuco, invitava gli Israeliti a meditare gli eventi della storia e l’opera di Dio ripetendo: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto…” (Dt 26,5). Ancora il libro del Levitico invitava a non opprimere il forestiero che “dimorerà presso di voi, nella vostra terra” (Lv 19,34). La storia e la letteratura ci permetterebbero di citare molte altre esperienze di emigrazione. Ho citato queste bibliche perché sono quelle in cui si invita a ricordare che l’emigrazione o l’immigrazione sono una realtà che coinvolge tutti, invita tutti ad essere attenti e rispettosi gli uni verso gli altri, a condividere il cammino della vita per essere protagonisti insieme di una possibilità di crescita comune. Oggi, davanti alla realtà dell’immigrazione e alle esigenze che ne motivano il flusso disperato verso parti del mondo che sembrano più sicure, si comprende la necessità di dover organizzare l’accoglienza e l’integrazione.
Forse, avendo trascurato lo sviluppo di un pensiero capace di organizzare secondo un modello sapiente la vita della società, e avendo lasciato alla sola legge del mercato e del profitto la possibilità di tracciare le linee dello sviluppo economico e dei rapporti tra gli uomini, oggi noi, cioè le Nazioni più ricche, sembriamo sorpresi da un flusso migratorio che appare come un’ondata improvvisa da cui temiamo di essere sommersi. Ma questo è il banco di prova delle capacità di Nazioni che si ritengono artefici del progresso civile, di Stati che sono stati capaci di unirsi per realizzare possibilità efficaci di sviluppo comune.Non si tratta di subire un’invasione ma piuttosto di organizzare un incontro, di aprire vie nuove per il cammino dell’intera umanità. Se non si può pretendere che una nuova visione del mondo o una nuova progettualità venga da chi è come accecato dalla disperazione e lotta per la sopravvivenza, questo lo dovrà poter offrire e proporre con lucidità chi, invece, ha i mezzi, la cultura, la possibilità di essere protagonista nelle situazioni e sente di essere consapevole del cammino della storia.
Papa Francesco, nel messaggio che ha dato per la scorsa Giornata Mondiale dedicata all’emigrazione, ha parlato di una nuova sfida che la storia sta proponendo alla società umana. Per affrontare responsabilmente questa sfida, dice il Papa, si richiede generosità, alacrità, saggezza e lungimiranza… ciascuno secondo le proprie possibilità. Per questo spiega il Papa si possono avanzare diverse proposte come ipotesi di visti temporanei o forme di accompagnamento. Certamente non si ritengono idonee forme di respingimento di massa soprattutto quando i migranti vengono respinti verso Paesi che non garantiscono rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali. Piuttosto sarà anche necessario sviluppare una corretta informazione già nei Paesi di provenienza dei migranti per evitare pratiche illegali di reclutamento. Sarà opportuno pensare ad una legislazione che garantisca il diritto ad una forma di cittadinanza soprattutto per i bambini nati in terre diverse da quelle di origine dei loro genitori. Si eviteranno così presenze incontrollate di apolidi.
In conclusione, la parte del mondo che ritiene di essere più progredita e attenta ai dinamismi di vita della società, consapevole del percorso che la storia ha sviluppato grazie alle migrazioni, dovrà essere capace di accogliere in maniera organizzata e di sostenere nelle forme più efficaci una reale integrazione intesa come possibilità di scambi interculturali che favoriscano lo sviluppo di un’autentica dimensione umana delle genti in cammino sulla terra.
Angelo Spinillo, vescovo di Aversa