Imprese, 50mila lavoratori in bilico: 69 tavoli di crisi al Mise

La crisi continua a rincorrere le imprese. Per la Cgil, sono 50mila i lavoratori in bilico, tra Cig, esuberi e licenziamenti.

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse in foto Giancarlo Giorgetti

ROMA – La crisi continua a rincorrere le imprese. Per la Cgil, sono 50mila i lavoratori in bilico, tra Cig, esuberi e licenziamenti. Fonti della Cisl parlando di 54mila lavoratori. I tavoli di crisi aperti al Mise – stando ai dati emersi dall’ultima interrogazione del Ministro Giorgetti – sono 69. In realtà, specificano fonti Mise, i tavoli effettivamente aperti dovrebbero essere 45, mentre 24 sono in monitoraggio.

Tre i principali fronti caldi. Il settore siderurgico, su cui gravano ex Ilva e Jsw di Piombino – per cui verrà nuovamente convocato un tavolo a stretto giro – che contano, insieme, circa 13mila lavoratori a rischio. Unica eccezione positiva, l’Ast Terni con la vendita, da parte di ThyssenKrupp, al gruppo Arvedi. Poi, l’Automotive, con tavoli di crisi aperti e tavoli di crisi di prossima apertura, causata dalla transizione ecologica verso cui si sta avviando il Paese. Gkn sembra aver trovato un punto di svolta con l’acquisizione da parte dell’imprenditore Borgomeo: è stata convocato un incontro al ministero domani, in videoconferenza. Di contro, due nuove vertenze: la Speedline di Venezia, che vuole delocalizzare entro il 2022 e conta 605 lavoratori a rischio, e Caterpillar di Ancona, con 270 dipendenti in bilico (per quest’ultima è stata convocata oggi una riunione prevista alle 14 presso la sede della Regione Marche). Accanto, la storica Blutec di Termini Imerese, vertenza aperta da dieci anni e tutt’ora irrisolta. “Ci sono progetti di riconversione – specificano fonti sindacali – ma ancora non si sono concretizzati”. Male Giannetti ruote, che ha confermato i 152 licenziamenti. Un tavolo a parte, fuori dal Mise, è convocato per Stellantis, che presenterà il nuovo piano industriale il 1 marzo 2022. L’orizzonte però è fosco, dicono i sindacati. La transizione ecologica porterà inevitabilmente ad una “rivoluzione nella componentistica”, affermano fonti della Uilm. Le associazioni di settore di produttori e commercianti hanno già lanciato l’allarme: sarebbero 60mila i lavoratori messi a rischio dalla necessità di riconvertire la produzione. Intanto, Bosch a Bari ha annunciato 620 esuberi per il 2022.

I sindacati sono concordi nel dire che il problema principale è l’assenza di un piano governativo concreto di politica industriale. “Dalla siderurgia all’automotive, dall’aerospazio all’elettrodomestico riscontriamo una mancanza di visione e di strategia e di serie politiche industriali da parte del Governo che salvaguardino l’occupazione, la salute e il patrimonio industriale del nostro Paese. Ormai si registra solo l’inseguimento dell’emergenza quotidiana”, ha affermato Rocco Palombella, segretario generale della Uilm.

Per Silvia Spera, responsabile crisi industriali della Cgil “manca una strategia complessiva. Non esiste un modo strutturale di affrontare le crisi nel mondo dell’industria, facendo di ogni tavolo un caso a sé stante, risolto spesso fuori dai tavoli grazie all’intervento di una singola personalità”, come nel caso di Gkn e Corenelliani. E questo rende di fatto il Mise “una semplice struttura di accompagnamento, che non riesce a trovare però chi poi sia in grado di giocare la partita”.

Il dato che emerge con chiarezza – afferma Spera – è che “è sempre più difficile trovare investitori, anche nei territori”. Infatti, la grande assente ai tavoli di crisi, per la responsabile Cgil, è proprio Confindustria. Una assenza che “colpisce”, ed è conseguenza del fatto che “i nostri imprenditori ormai sono sempre più dentro alla catena finanziaria e fuori da quella produttiva”. Se manca una regia pubblica, conclude la responsabile Cgil, “la risoluzione delle questioni restano nelle mani di singoli, facendo del lavoro una partita che si gioca a livello personale e non come idea di Paese”.

di Martina Regis

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