La presunzione fatale

L’Italia è un Paese davvero strano. Le denunce delle inefficienze, delle vicende di ogni natura e genere a sfondo truffaldino, non vengono mai presentate alle autorità competenti ma finiscono direttamente in tv. Una procedura che non dà luogo a provvedimenti di natura giudiziaria, ma espone i responsabili delle malefatte al pubblico ludibrio e tanto basta perché la cosa, si spera, non abbia a ripetersi. Insomma, il tutto finisce canonicamente a “tarallucci e vino”. Analoga cosa avviene con i disservizi sanitari che possano riguardare l’assistenza ospedaliera o altri tipi di carenze in Italia, soprattutto al Sud ove maggiormente deficitaria è l’organizzazione. Ha suscitato, infatti, notevole scalpore la trasmissione delle “Iene” che ha presentato uno spaccato delle condizioni in cui si trova l’assistenza ospedaliera in provincia di Caserta, con grande disappunto del commissario alla Sanità, nonché governatore della Campania, Vincenzo De Luca. In realtà, gran parte delle cose viste nel reportage televisivo corrispondono al vero, altre invece sono state evidenziate per aumentare il clamore e l’effetto che il programma intendeva produrre nel pubblico dei telespettatori. Ora, al di là delle inefficienze mostrate in tv, dell’inutile caccia alle responsabilità che sempre si innesca a valle di denunce del genere, occorrerebbe individuare la causa prima e vera che determina tali carenze, pur in presenza di cospicui investimenti di pubblico denaro, che in Campania assommano ad 11 miliardi e 200 milioni di euro all’anno. L’errore di sistema nasce da quella che Friedrich von Hayek, premio Nobel per l’Economia ed eminente espressione della scuola di Vienna degli economisti liberali, chiamò “presunzione fatale”, ovvero la pretesa dello Stato di credere di poter programmare, progettare e realizzare un’offerta sanitaria che soddisfi i diffusi e i diversi fabbisogni dei cittadini. Un errore che viene continuamente ripetuto anche di fronte al costante crack di queste stesse programmazioni che, quando non sono fallimentari (regioni del Sud) , sono oltremodo dispendiose (regioni del Nord), e quindi gravano, sotto forma di tasse, sulle spalle dei contribuenti. Mancando all’interno di un simile sistema, il principio della competizione e della valutazione dei risultati rilevato attraverso la soddisfazione degli utenti del Sistema Sanitario, ovvero sulla base della qualità delle prestazioni di cui l’utente usufruisce, si vengono a determinare dei veri e propri monopoli statali. Monopoli finanziati non sulla base della qualità, della complessità, dell’appropriatezza delle prestazioni offerte, ma secondo consolidati pregiudizi che partano dalla teoria di una presunta superiorità dei fini perseguiti dello Stato. Laddove non c’è profitto, ovvero utile, ci dovrebbe essere una maggiore garanzia di qualità del servizio. Un errore ed un pregiudizio statalista rivelatosi sempre fatale!!. In poche parole, tornando alla denuncia delle “Iene”, gli insediamenti ospedalieri finiti sotto la lente, rispondono più a logiche di tipo geopolitico che all’effettiva esigenza di garantire e tutelare la salute dei cittadini. Fuor di metafora: in Campania, nonostante qualche timido taglio, la rete dei nosocomi si compone di circa una novantina di strutture, la stragrande maggioranza delle quali basata su una programmazione di stampo politico. Insomma, una sorta di manuale Cencelli, essendo i plessi ospedalieri il fiore all’occhiello che il potente di turno può esibire nella sua comunità o nell’ambito territoriale in cui ha sede il proprio bacino elettorale. Spesso la gente è ignara che tali presìdi, obsoleti per strutture e attrezzature, rappresentino più una perdita di tempo che un effettivo strumento di soccorso, ovverosia oltre che essere dispendiosi, sono praticamente inutili. Una pletora di doppioni che producono le stesse prestazioni a basso costo fornite nella stessa misura e nella stessa scarsa qualità, da un altro identico ospedale ubicato ad appena una decina di chilometri di distanza. E tuttavia non si è mai voluto procedere alla reale chiusura dei piccoli ospedali inutili e pericolosi in favore di una politica capace di rendere i ricoveri l’estrema ratio per le cure non praticabili direttamente a casa del paziente. Volendo dirla in altre parole: non si è mai voluta trasformare la rete ospedaliera della Campania in un’organizzazione con qualche decina di ospedali ad alta specialità, in grado di soddisfare tutte le esigenze del paziente, portatore di determinate patologie, evitando, tra l’altro, le bibliche transumanze verso le regioni del Nord. Viaggi della speranza che alimentano una spesa passiva, per la nostra regione, di oltre 300 milioni di euro annui. Ciò che è mancato è stato il potenziamento della rete, dell’emergenza, del soccorso (leggi ambulanze), la capacità di realizzare grandi centri di eccellenza a seconda della tipologia di cura da praticare. In sintesi: una sanità basata sull’efficienza, ma soprattutto finanziata sulla base del numero e della complessità delle prestazioni offerte all’utenza. Una sanità finanziata secondo le modalità e le tariffe che vengono riconosciute all’analogo comparto privato accreditato e non “valutata” a piè di lista. Un privilegio illegittimo, tra l’altro, che sovra finanzia il sistema a gestione Statale, finendo per assecondare gli sprechi e gli sperperi di risorse che i monopoli determinano inevitabilmente. Se colpa ha Vincenzo De Luca è quella di aver reiterato l’andazzo di mantenere in piedi la vetusta ed inutile rete ospedaliera campana che nel suo complesso costa 4,5 miliardi di euro a fronte di incassi (qualora fosse pagata a tariffa!) di appena un miliardo e 700 milioni. Quindi con un disavanzo annuale di 3 miliardi che si ripercuote su tutte le altre attività sanitarie che la regione deve erogare per garantire i livelli essenziali di assistenza. Un fiume di denaro inutilmente sacrificato alla politica politicante che trae voti e consensi (per tacere di altro) dallo sperpero di denaro. Piaccia o non piaccia a De Luca, che si proclama autore di una rivoluzione copernicana che non c’è.

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