La terra dei liberi e la patria dei coraggiosi

Vincenzo D'Anna

“Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, oppure non vale nulla lui”. Questo l’aforisma che Ezra Pound compose per tutti coloro i quali sproloquiano e pontificano sull’idealità salvo poi defilarsi, al momento opportuno, innanzi al contraddittorio, in nome della pace e dell’egoismo. In Italia purtroppo la gente che si batte e difende con coerenza le proprie idee non è ben vista. All’opposto, viene facilmente bollata come arrogante e litigiosa dai “benpensanti” di turno, i quali argomentano bene ma poi quasi sempre agiscono male. Il carattere bipolare degli italiani consente loro di sapersi adattare alle circostanze e alle opportunità vantaggiose che si prospettano lungo il tragitto della vita. Siamo pur sempre figli di un’arte, quella dell’arrangiarsi, sviluppata nel corso dei secoli e delle varie dominazioni subìte. Un’indole servile che mal si concilia con quel coraggio che occorre per impostare discussioni e difendere il proprio pensiero. Se prima l’opinione pubblica si formava lentamente e con discernimento, oggi tutto è fulmineo e c’è poco spazio per il ragionamento, onde per cui sono le sensazioni, più che le consapevoli opinioni, a formarsi. Gli esempi sarebbero innumerevoli e molti di questi già ampiamente trattati sulle colonne di questo giornale, ma, negli ultimi tempi, balzano all’attenzione delle cronache le aspre critiche che da più parti vengono mosse nei confronti degli Stati Uniti e della politica americana. Il termine stesso di “atlantismo” finisce per essere spacciato come una sub specie di atteggiamento prono e subalterno verso la politica estera della Casa Bianca e le mire espansionistiche degli Usa. La scelta Atlantica fu l’opzione per il blocco occidentale e le democrazie parlamentari nel tempo in cui la cortina di ferro ci separava dalla satrapia comunista dell’Urss. Eppure, maître a penser della sinistra vanno avanti con la comparazione  tra le guerre scatenate da Washington (ed il loro carico di morti) e quella che proditoriamente Putin ha innescato in Ucraina. Si smussano le responsabilità russe rinnovando, al contempo, le tesi contro il capitalismo e la globalizzazione, l’irridente critica alla democrazia da “ esportare” degli States. Insomma: manca poco che la Russia dei soviet e dei gulag, la patria del socialismo e dell’Armata rossa, venga equiparata al culto della libertà e della democrazia  statunitensi! Ovviamente sono le critiche dei soliti noti, quelli che non ci stanno ad ammettere di aver preso in passato una cantonata ideologica. Quelli, per capirci, dell’Urss come casa delle progressive sorti del proletariato e del  socialismo. Quelli che hanno glissato per l’occupazione dell’Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968. Quelli che “non avevano nazione” ma erano cittadini del mondo e “proletari dell’internazionale socialista”; gli epigoni del Maoismo, sordi e ciechi innanzi ai massacri di milioni di cinesi per carestia e rieducazione di massa. Quelli che simpatizzavano coi terroristi delle Brigate rosse, ritenuti al massimo semplici “compagni che sbagliavano”. Gli stessi che inneggiavano ad Ho Chi Minh salvo poi ritrovarsi tra i piedi la tirannia comunista nel sud est dell’Asia e lo sterminio di migliaia e migliaia di cambogiani da parte del boia Pol Pot per la pedissequa applicazione dei dettami di Marx. Insomma: quelli che hanno attraversato le barricate del ‘68 per finire nelle redazioni dei giornali e in tv, dove poi si sono riciclati come intellettuali e cultori delle libertà, fregiandosi del bollo di sinceri democratici. Disillusi ma non delusi, con in testa l’aureola della superiorità morale. In sintesi, quelli che hanno tifato per le manette e le procure distraendosi sui dollari che il Pci esigeva da Mosca. Erano comunisti per equipararsi agli intellettuali, agli artisti, organici con la sinistra, sentirsi i più bei “fichi” del bigoncio. Hanno mistificato la storia del socialismo reale, ingannato i militanti, ispirato un indefettibile messianismo. E cosa c’era di più odioso delle libertà americane e delle istituzioni liberali, della verità che gli  Alleati ci avevano liberato  dal nazifascismo, ci avevano sfamato  con il piano Marshall, ci avevano cancellato imponenti debiti di guerra agevolando la ripresa economica del Belpaese? Caduto il muro, scoperte le nefandezze e le menzogne innanzi agli occhi del mondo, costoro si sono ritrovati a cambiare simboli e bandiere, a inventarsi il progressismo, il pacifismo a senso unico e a combattere il capitalismo e la società dei consumi di massa,  pur essendo diventati comunisti perché “avevano imparato a mangiare il pesce col coltello”, come amava dire il caustico Ennio Flajano. Insomma: oggi come oggi, reduci del passato e nuove leve si saldano nell’opera critica alla storia della nazione che ha sempre soccorso l’Europa libera e liberale. Certe menzogne hanno la capacità di rinnovarsi nel tempo, ma alla lunga vincerà la “terra degli uomini liberi e la patria dei coraggiosi”. Sì, quella con la bandiera  a “stelle e strisce”.

*già parlamentare

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