Lavoro nero, condannata la ditta edile dei Di Maio

Foto Fabrizio Corradetti / LaPresse Nella foto: Luigi Di Maio

NAPOLI – E’ un momento nero per il ministro Luigi Di Maio e per la sua famiglia. Dopo il fallimento totale del suo progetto politico e la mancata rielezione in Parlamento dell’attuale titolare della Farnesina, è arrivata anche la condanna in Appello per la ditta di famiglia, la Ardima Costruzione, a risarcire un operaio che aveva fatto causa per aver lavorato a tempo pieno, nonostante un contratto part-time. Una vicenda di lavoro nero che coinvolge i congiunti più stretti dell’ex ministro del Lavoro, incarico che il politico di Pomigliano D’Arco ha ricoperto nel governo Conte-1, prima di occuparsi degli Esteri con i due esecutivi successivi. In primo grado l’istanza dell’operaio di Marigliano, difeso dall’avvocato Ignazio Sposito, era stata respinta.

La sentenza

La terza sezione controversie di Lavoro e di Previdenza ed Assistenza della Corte d’Appello di Napoli, presieduta da Piero Francesco De Pietro, ha ribaltato il giudizio, condannando la società di cui è titolare, stando gli atti della sentenza, Paolina Esposito, madre del ministro, a pagare una cifra superiore ai 15mila euro, di cui una parte a titolo di Tfr, oltre a una buona percentuale delle spese legali. I giudici hanno definito “illegittimo, ingiusto, infondano ed inammissibile” il comportamento della società Ardima nei confronti del carpentiere che ha deciso di far valere i suoi diritti. Stando ai contratti, la giornata del lavoratore sarebbe dovuta durare 4 ore al giorno, per un totale di venti ore settimanali, ma in realtà era in servizio per non meno di 10 ore dal lunedì al venerdì “con concessione di circa 30 minuti per la consumazione della colazione al sacco”.

La difesa

La ditta si è difesa con una nota del 2015, riportata in sentenza, che la retribuzione era commisurata alle ore di lavoro “ancorché erogata per metà in busta paga e l’altra metà in contanti”. Una ammissione, di fatto, si chiama ‘lavoro nero’. Come se non bastasse alcuni testimoni, della difesa e dell’accusa, hanno confermato che l’operaio era a disposizione a tempo pieno dal luglio del 2008 al settembre 2011, quando è arrivato il licenziamento in tronco dell’operaio che svolgeva le sue mansioni sotto il diretto controllo e la direzione del geometra Antonio Di Maio, il padre del ministro. Il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso, ma non aveva tenuto conto, per la Corte d’Appello, della circostanza di un impiego full time nonostante un contratto part time.

La ditta in liquidazione

La ditta negli ultimi anni è stata posta in liquidazione dall’ex capo politico del Movimento 5 Stelle e dalla sorella (ai quali era stata donata dalla madre, insegnante e poi presidente, pochi mesi dopo la prima elezione di Luigi alla carica di deputato) con la nomina di dell’altro fratello Giuseppe come liquidatore. Ed era stata già al centro di una vicenda di abusi edilizi a Mariglianella, poi regolarmente sanata con l’abbattimento dei manufatti e l’ammissione degli errori commessi. A complicare il quadro anche le polemiche relative al fatto che Antonio Di Maio fosse di fatto il factotum della società, ma che non risultasse tra i vertici della stessa. Ora il verdetto della Corte d’Appello aggiunge un altro capitolo buio alla storia di Ardima. Un’altra stangata per il ministro uscente, ormai fuori dal Parlamento.
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