Messina: caporalato ed estorsioni in Rsa, 7 misure cautelari

I Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Messina hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale della città dello Stretto, nei confronti di 7 persone (5 arresti domiciliari e 2 obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria)

Foto LaPresse

I Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Messina hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale della città dello Stretto, su richiesta della Procura della Repubblica di Messina, nei confronti di 7 persone (5 arresti domiciliari e 2 obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), con contestuale sequestro di beni per un valore di oltre 180mila euro e l’applicazione del “controllo giudiziario” nei confronti di 2 società, per i reati di associazione a delinquere, estorsione e intermediazione illecita e caporalato.

In pieno periodo pandemico, le Fiamme Gialle della Compagnia di Taormina avevano effettuato dei controlli per il contrasto al lavoro sommerso in una Rsa intervento in materia di sommerso da lavoro presso una Rsa della provincia, riscontrando come il titolare si fosse avvalso, per l’assistenza degli anziani ivi ricoverati, negli anni dal 2016 al 2020, di ben 36 lavoratori “in nero”, a fronte di una forza lavoro complessiva impiegata di 40 dipendenti.

 Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Messina, sono state svolte attraverso ricostruzioni documentali, intercettazioni telefoniche e accertamenti bancari, dalle quali emergeva come il dominus della struttura residenziale, al fine di ottenere indebiti risparmi in termini di versamento di contributi e oneri previdenziali, avesse abusivamente impiegato, completamente e/o parzialmente, i predetti lavoratori, senza effettuare la prescritta comunicazione al Centro per l’Impiego.

All’esito degli accertamenti svolti dai Finanzieri si acquisiva alle indagini come il titolare delle strutture assistenziali giungesse, addirittura, ad impedire la fruizione di qualsiasi forma di riposo o ristoro durante l’orario di lavoro, nonché di socializzare tra loro, arrivando persino a vietare lo scambio reciproco dei numeri di telefono.

Gli stessi lavovatori effettuavano il turno di notte, pari a dodici ore, durante il quale, oltre ad accudire gli anziani, avrebbero anche dovuto svolgere altre incombenze, quali il lavaggio e la stiratura delle telerie.

A fronte della previsione dei contratti di lavoro collettivo che, “per i dipendenti dalle cooperative, consorzi e società consortili del settore socio-sanitario-assistenziale-educativo e di inserimento lavorativo”, prevedono una paga base che va, a seconda del livello di inquadramento, da 1.184,19 euro a 1.426,41 euro, per un orario di lavoro pari a 38 ore settimanali, i lavoratori della RSA ispezionata percepissero solo circa 700 euro, indipendentemente dalle mansioni svolte e dalle ore lavorate, peraltro pari, in media, a 45 ore settimanali.

 Le indagini hanno documentato violazioni alla normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie, in totale spregio della normativa nazionale e comunitaria in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.

Le indagini hanno consentito di documentare indagini consentivano di documentare come, al fine di giungere contabilmente all’importo di 700,00 euro, il gruppo tra imprenditori e consulenti oggi tratto in arresto predisponesse specifici prospetti paga che per un verso, solo formalmente, certificavano l’esecuzione di prestazioni lavorative in linea con la tipologia di contratti di lavoro stipulati con i dipendenti, attestanti la corresponsione di tutte le categorie di indennità spettanti, al solo scopo di dare una parvenza di legalità in termini di diritti sindacali concessi e, così, evitare eventuali successivi controlli; d’altro canto, invece, riportassero anche l’inserimento, tra le voci stipendiali, di giorni e/o ore di assenza dal lavoro che, di fatto, non risultavano fruite dai dipendenti, talché si determinava una significativa riduzione delle spettanze stipendiali, in palmare danno dei medesimi lavoratori.

Tale illecito meccanismo era oggetto di imposizione sin dalla prima fase del colloquio per l’assunzione, mortificando le legittime aspettative dei lavoratori che, loro malgrado, si trovavano costretti a soggiacere all’illecito meccanismo estorsivo perché bisognosi di lavorare.

L’Autorità Giudiziaria ha inoltre disposto, nei confronti delle RSA investigate, anche l’applicazione del controllo giudiziario, nominando un Amministratore giudiziario che affiancherà gli imprenditori nella gestione dell’Azienda e autorizzerà lo svolgimento degli atti di amministrazione utili all’impresa, al fine di impedire il reiterarsi di situazioni di grave sfruttamento del lavoro.

È il primo caso di applicazione a livello provinciale dello strumento di contrasto, previsto dal legislatore quale misura alternativa al sequestro cosiddetto “impeditivo”, proprio al fine di salvaguardare i livelli occupazionali. Sul punto, il competente Giudice ha così motivato la sua decisione: “nel caso di specie, sussistono fondate ragioni per ritenere che la libera disponibilità da parte degli indagati delle strutture possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, atteso che, in assenza di controllo, è del tutto probabile che gli stessi proseguirebbero nelle condotte di sfruttamento dei lavoratori dipendenti”.

(LaPresse)

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome