Napoli, contraffazione: 18 arresti e 57 avvisi di conclusione indagini

Guardia di Finanza
Foto Fabio Cimaglia / LaPresse

NAPOLI – Diciotto le persone arrestate perché ritenute responsabili di associazione finalizzata alla produzione e commercializzazione di prodotti contraffatti. Quattro stranieri e 14 italiano sono agli arresti domiciliari da questa mattina perché raggiunti dalle ordinanze eseguite dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Napoli ed emesse Giudice per le Indagini Preliminari. Le indagini hanno portato all’individuazione di cinque famiglie dedite alla contraffazione e commercializzazione di abiti, borse e oggetti di vario tipi. In particolare ognuna delle organizzazioni era strutturata secondo una definizione di ruoli e incarichi puntualmente determinati e in grado di curare distinte fette del “mercato del falso” partenopeo, contando su canali di approvvigionamento anche stranieri (Bulgaria e Turchia) e su una fitta rete distributiva dislocata in maniera capillare su tutto il territorio nazionale (nelle province di Napoli, Livorno, Torino, Milano, Genova e Massa Carrara). Le investigazioni, durate più di un anno, sono state riscontrate da numerosi interventi repressivi che hanno consentito di sequestrare oltre 820 mila pezzi di prodotti contraffatti e di portare alla scoperta di ben 10 opifici abusivi, comprensivi di macchinari, e 6 depositi di stoccaggio, allestiti nella città e nella provincia di Napoli. Il primo gruppo fa capo a Gennaro Guarracino e Vincenzo Palma ed era specializzato nella produzione e commercializzazione di scarpe e borse con segni distintivi contraffatti. Nella struttura  Guarracino si occupava prevalentemente di ricettare e introdurre nei canali di vendita calzature contraffatte (prevalentemente “Hogan”), contando su una rete di distribuzione di affiliati magrebini e senegalesi che, da tutta Italia, commissionavano acquisti pagati tramite ricariche a postepay intestate a soggetti compiacenti o inesistenti. Palma era, invece, il trait-d’union con i principali referenti della “filiera produttiva”, attraverso linee di fornitura costituite da opifici preposti alla realizzazione di articoli contraffatti. I pellami e i tessuti serigrafati di illecita riproduzione venivano acquistati dalla Turchia, grazie al ruolo strategico di un soggetto pugliese e di suoi referenti commerciali, raggiungendo l’Italia attraverso transiti su gomma che passavano dalla Bulgaria, da cui le materie prime viaggiavano su rimorchi stranieri di autotrasportatori compiacenti. Poi è stata smantellata una organizzazione a conduzione familiare che faceva capo a Armando Minichino, supportato dal padre Mario e dal fratello Attanasio, specializzati nella produzione di borse contraffatte di primissima qualità, secondo i disegni di Prada, Chanel, Hermes e Dior. Questi, contando sull’esperienza e la professionalità della propria attività artigianale “ufficiale”, erano in grado di fornire – su richiesta del “cliente” – il servizio “aggiuntivo” di applicazione di cartellini, etichette e accessori metallici per trasformare i loro ottimi “prodotti neutri” (inizialmente privi brand) in puntuali contraffazioni. Meno ramificate ma inserite a pieno titolo nel locale mercato “nero” e “parallelo” della contraffazione, altre due organizzazioni: un gruppo “magrebino”, capeggiato dai marocchini Tahiri Mustapha, Assila Bouchaib, Mouadal Said e Youssef, impegnati nella produzione, ricettazione e rivendita di rilevanti quantitativi di calzature, capi di abbigliamento sportivo e occhiali da sole recanti marchi di fabbrica contraffatti. Radicati nella zona di Somma Vesuviana, gli stranieri avevano la loro base operativa su Napoli, nelle zone a ridosso della stazione centrale (Piazza Garibaldi e via Maddalena) e tessevano stretti rapporti di “collaborazione” con le aziende cinesi di Gianturco, via Imparato e via Argine, importatrici di capi neutri in quantità industriale, che, mediante applicazione di serigrafie e punzonature con segni distintivi mendaci, venivano resi identici agli originali e immessi sul “mercato”. Ulteriori figure di riferimento per l’approvvigionamento delle merci, erano, in questo contesto, un uomo operante stabilmente da Malta – che vantava basi logistiche nella zona vesuviana per lo smercio di “Hogan” contraffatte – e Antonio Pepe, di Quarto, esperto nell’assistenza, manutenzione e riparazione dei macchinari utilizzati per la produzione di cliché e punzoni contraffatti nonché affermato fornitore di accessori per la finitura della falsificazione. A lui si rivolgeva anche un’altra organizzazione di truffatori, che si occupava di  profumi, capeggiata da Giovanni Piscopo, di Melito di Napoli. Quest’ultimo, con la collaborazione di suoi uomini di fiducia, acquistava “falsi d’autore” presso importatori cinesi e li trasformava, attraverso sapiente attività di cura e adattamento delle confezioni, in fragranze contraffatte di tutto punto. Un’ultima organizzazione era, infine, quella espressa da Ciro Colaiacolo, di Casalnuovo di Napoli, il quale, approvvigionandosi di accessori metallici ricettati da citato Youssef Mouadal, produceva – facendo ricorso a laboratori abusivi o casalinghi – importanti quantità di jeans e pantaloni falsi, messi in vendita attraverso uno strutturato canale di diffusione locale. OLtre agli arresti sono stati emessi 57 avvisi di conclusione delle indagini nei confronti di sodali, favoreggiatori e referenti del “falso” compiacenti che, con il loro apporto funzionale, organizzativo e logistico, hanno giocato ruoli consistenti nella ramificazione delle strutture criminali.

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