‘Ndrangheta, confisca di beni da 5,5 milioni al presunto esponente delle cosche

Le indagini hanno consentito di appurare un'evidente sproporzione tra i redditi dichiarati, rispetto ai cospicui investimenti effettuati

LaPresse - Matteo Corner

REGGIO CALABRIA – La Dia di Reggio Calabria ha eseguito un provvedimento di confisca di beni per 5 milioni e mezzo di euro nei confronti di un 61enne di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), già sorvegliato speciale. In passato ritenuto esponente dell’omonima cosca di ‘ndrangheta.

Il provvedimento scaturisce dalle indagini svolte dalla Direzione investigativa antimafia sull’ingente patrimonio dell’uomo (infermiere presso l’Asp di Reggio Calabria). Che hanno consentito di appurare un’evidente sproporzione tra i redditi dichiarati, rispetto ai cospicui investimenti effettuati.

A carico dell’uomo hanno accertato, nel periodo 1999/2008, l’omessa segnalazione, prevista per legge, di numerose variazioni patrimoniali. In particolare l’acquisto di diversi immobili, alla guardia di finanza, a cui era obbligato in quanto sottoposto alla misura della sorveglianza speciale.

La confisca odierna ha riguardato numerosi beni. Tra cui 57 unità immobiliari a Melito Porto Salvo (fabbricati, appartamenti, cantine e locali a uso commerciale), circa 14 ettari di terreno coltivato, un’auto di grossa cilindrata e rapporti finanziari.

Alcuni mesi confiscati beni ad un boss di una cosca del reggino

La Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria ha eseguito un provvedimento di confisca di beni emesso dal tribunale su proposta della Procura e del Direttore della Dia. Nei confronti di Giuseppe Nucera, 72 anni, detenuto e ritenuto il capo della cosca di Gallicianò, frazione del comune di Condofuri, nel reggino.

Il boss ha subito una condanna nel 2001, dalla Corte di assise di appello di Reggio Calabria, per associazione a delinquere di stampo mafioso. Perché ritenuto organico alla cosca facente capo a Giuseppe Caridi, federata con la consorteria ‘Libri’, attiva a Reggio Calabria. Nucera, soprannominato ‘zio Pino’, è stato ritenuto la persona adibita alla riscossione di tangenti. A suo carico anche una condanna, in primo grado, a 10 anni di reclusione. Emessa nel 2014 dal tribunale di Reggio Calabria per il reato di associazione mafiosa.

La pena è stata successivamente rideterminata in 12 anni e 6 mesi di reclusione a seguito di sentenza del 2016 della Corte di appello reggina. Nello specifico, in tale contesto, hanno ritenuto essere l’uomo come il ‘capo locale’ di Gallicianò.

(LaPresse)

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