Pd, Letta insiste: “Capigruppo donne”. Ma l’accordo non c’è, Marcucci minaccia conta

Foto Stefano Porta / LaPresse Nella foto: Enrico Letta

ROMA – La pressoché unanimità incassata per l’elezione a segretario è ormai un lontano ricordo: Enrico Letta è già alle prese con gli equilibri interni al Pd e, dopo gli sprint dei primi giorni, potrebbe arrivare il primo stop. Il leader del Nazareno tiene il punto rispetto alla volontà di volere due donne alla guida dei gruppi parlamentari, sostituendo Graziano Delrio e Andrea Marcucci.

“Nel Pd le posizioni di vertice sono una decina: il segretario, i capigruppo, i ministri, i presidenti di Regione…la squadra del Pd è una squadra tutta di maschi – insiste – Sono sicuro che i gruppi sceglieranno, su una base di una selezione, donne di qualità”. Il braccio di ferro è servito. “Vuole farci fuori”. “Sono attaccati alla poltrone”, le accuse incrociate.

Un accordo, insomma, ancora non c’è e le riunioni dei deputati e dei senatori previste per domani potrebbero non chiudere la partita. “Serve almeno una settimana in più di tempo”, spiega chi segue da vicino il dossier. A palazzo Madama, però, la situazione è incandescente e Marcucci non esclude di andare alla conta. “Sulla falsariga di quanto è successo la settimana scorsa nell’assemblea degli eurodeputati dem, è molto probabile che domani l’incontro dei senatori Pd, dopo il dibattito, si concluda con un voto”, sostengono fonti parlamentari vicine al capogruppo.

Del resto i rapporti di maggioranza sono netti. In mattinata i senatori che fanno riferimento a Base riformista, fanno il punto su zoom. All’incontro sono presenti 18 parlamentari (sui 35 che compongono il gruppo) e la linea che prevale, “al momento”, è quella di “andare avanti con l’attuale presidente”. In ‘maggioranza’, con il capogruppo, ci sarebbero poi anche i tre orfiniani D’Arienzo, Verducci e Valente.

I ‘pontieri’ sono al lavoro

Andare al muro contro muro con il segretario adesso significherebbe essere tagliati fuori in futuro, quando ci sarà da discutere di alleanze e liste. Il compromesso potrebbe essere quello di convincere Marcucci al passo indietro, lasciando comunque a Base riformista la presidenza del gruppo. Le possibili candidate, però, non sono troppe. Simona Malpezzi, tra le papabili, dovrebbe lasciare l’incarico di sottosegretaria al Governo e Valeria Fedeli e Caterina Bini non godono della fiducia di tutto il gruppo. “Bini sarebbe un’emanazione di Marcucci, se è così la minoranza potrebbe candidare Pinotti e un gruppo spaccato non fa bene a nessuno”.

A Montecitorio il clima è meno infuocato

Delrio – che pure non ha gradito l’avviso ai naviganti recapitato da Letta tramite l’intervista alla ‘Gazzetta di Reggio’ – si è detto disponibile a rimettere il mandato nelle mani dell’assemblea e il rebus, sia pure non ancora risolto, potrebbe sciogliersi nei prossimi giorni. Secondo ‘radio Camera’ in pole ci sarebbe Debora Serracchiani, che riuscirebbe a raccogliere un consenso abbastanza trasversale tra le correnti.

La vicepresidente Pd, però, dovrebbe lasciare la presidenza della commissione Lavoro (ottenuta con il Governo giallorosso) e Lega o FI, adesso in maggioranza, potrebbero rivendicarla facendo così perdere un incarico ai dem, prezioso vista anche la presenza di Andrea Orlando a via Veneto.. Lo stesso discorso vale per la deputata di Base riformista, area che fa riferimento a Lorenzo Guerini e Luca Lotti, Alessia Rotta, attualmente alla guida della commissione Ambiente.

A spuntarla, quindi, potrebbe essere l’ex ministra Marianna Madia. Troppo “divisiva”, viene ribadito, la lettiana Paola De Micheli. Intanto il segretario dem incontra il presidente del Consiglio Mario Draghi e il leader Cisl Luigi Sbarra. Il faccia a faccia con il premier, “cordiale, positivo e a tutto campo”, va avanti per circa un’ora.

Sul tavolo, temi di metodo, come il raccordo tra governo e maggioranza, e di merito: le politiche per il rilancio dopo le pandemia, l’Europa e il piano vaccinale. Domani Letta farà il punto con le truppe e, incontrando la mattina i deputati e nel pomeriggio i senatori, deciderà fino a che punto forzare la mano. “L’unanimismo”, che il leader non voleva, non c’è. La “verità”, cercata, potrebbe fotografare un Pd ancora una volta spaccato.(LaPresse)

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