Quirinale, Letta dice no al Cav e propone patto di legislatura: “Salvaguardare Draghi”. Ma sul ruolo premier dem divisi

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Enrico Letta

ROMA – Un patto ‘largo di legislatura’ che comprenda l’elezione di un presidente della Repubblica ‘super partes e di garanzia’, una nuova spinta all’azione del Governo e l’impegno della maggioranza per le riforme che servono alla politica, a partire da quella della legge elettorale.

Il giorno dopo lo strappo – ‘gravissimo’ – del centrodestra che ha scelto di proporre ufficialmente la candidatura di Silvio Berlusconi per il Quirinale, Enrico Letta risponde lanciando un secondo ‘tavolo di gioco’, che possa portare ‘rapidamente’ a una scelta ‘condivisa dall’arco di forze parlamentari più ampio possibile, a partire da quelle dell’attuale maggioranza2.

Il segretario dem, da quella che da oggi in poi sarà la sala ‘David Sassoli’ del Nazareno, si rivolge in diretta streaming ai parlamentari e ai membri della direzione dem e chiede loro un mandato pieno, per sé e per le capigruppo di Camera e Senato Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, per condurre le trattative che avranno inizio nei prossimi giorni.

Il leader del Nazareno, in una fase così delicata, non vuole che eventuali distinguo interni restino sottaciuti, mette subito in chiaro che i grandi elettori dem saranno da adesso in avanti convocati in modo permanente per assumere insieme le decisioni e chiede che a votare sulla sua proposta siano non solo i componenti della direzione (eletti in occasione del congresso vinto dal suo predecessore Nicola Zingaretti), ma anche deputati e senatori, arrivati in Parlamento dopo le scelte sulle liste fatte da Matteo Renzi e, quindi, non sempre schierati con il segretario.

Alla riunione, per la prima volta dal giugno 2019 partecipa anche Luca Lotti, che considera ‘finita’ la sua autosospensione, dal momento che – scrive su Facebook – ‘i motivi che mi portarono a prendere quella decisione sono abbondantemente superati dai fatti’. Tutti presenti, quindi, anche se diversi big – come i ministri Lorenzo Guerini e Dario Franceschini – restano in silenzio. Alla fine, comunque, il voto è unanime e il partito inizia compatto il percorso che porterà all’elezione del successore di Sergio Mattarella.

La condivisione è totale sul no alla candidatura del leader di FI. ‘Un nanosecondo dopo la sua elezione, il Governo è finito, il Pd si sfila’, è il leitmotiv che scandisce quasi tutti gli interventi. ‘L’idea che nel nostro Paese e nel 2022 candidi Silvio Berlusconi è la notizia che rende più visibile l’elezione del Quirinale in tutto il mondo.

Ogni capo politico è divisivo, ma se pensiamo ai 25 anni passati, è difficile pensare che Silvio Berlusconi non sia il più divisivo’, esordisce Letta che poi ‘avvisa’ gli avversari: ‘Non c’è nessun diritto di precedenza che il centrodestra può vantare nell’indicare il presidente della Repubblica – scandisce – Questo diritto non c’è, i numeri non lo assegnano, la situazione politica del paese non lo assegna’.

Il segretario dem non vuole rispondere alla fuga in avanti messa nero su bianco ieri a Villa Grande con una controproposta di parte. ‘Nel momento in cui in Parlamento c’è una unione di minoranze, mettere in campo nomi significa bruciarli – spiega ai suoi e agli alleati – Noi non vogliamo bruciare nessuno perché sappiamo che non abbiamo la maggioranza in Parlamento’.

E se tutti concordano sulla scelta, nell’immediato, di non partecipare al totocandidature, diversi tra i dem chiedono che il Pd si faccia promotore di un’iniziativa politica in risposta alla mossa fatta dal centrodestra. ‘Rispetto ai 440 grandi elettori dell’altra volta oggi siamo 150 ma non possiamo non giocare la partita, anche se siamo il 15 per cento dei grandi elettori’, dice Alessandro Alfieri, coordinatore di Base riformista, corrente guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti.

‘E’ di obbligo per noi fare un tentativo politico aperto, al momento giusto, con i toni giusti e con le condizioni indicate da Letta, ma fare un’iniziativa politica con spirito unitario’, propone Goffredo Bettini. ‘Ieri il centrodestra riunito solennemente ha fatto una proposta che spacca tutto. Credo che dobbiamo prendere delle contromisure – gli fa eco Matteo Orfini – non significa proporre un nome di bandiera ma lavorare a tenere insieme le forze responsabili, assumendo un’iniziativa politica in questo senso’.

Anche Andrea Orlando invita a tenere alta la guardia: ‘La candidatura di Berlusconi produce una rottura dello schema che si era prodotto con l’appello di Mattarella e la nascita del Governo Draghi. Produce un nuovo protagonismo di Berlusconi e una vittoria non so se politica o strategica della Meloni’, avverte il ministro del Lavoro, che invita a rispondere ‘anche in modo simbolico’ all’eventuale ufficializzazione e messa ai voti del nome dell’ex premier per il Quirinale.

‘Giusta la sottolineatura della necessità di tenuta legislatura – avverte – ma a seconda delle scelte questa tenuta sarà più o meno probabile’. La partita del Colle, ovviamente, è strettamente legata al futuro di Mario Draghi. Letta lo sa ma non intende tenere coperta la carta che riguarda il premier.

‘Dobbiamo proteggere la figura di Mario Draghi, non possiamo permetterci di non avere come stella polare la sua credibilità a livello europeo e internazionale – mette in chiaro – Non vorrei che alla fine di tutti i giochi e le irresponsabilità che stanno avvenendo noi ci giocassimo questa carta fondamentale’. Sul ruolo dell’attuale inquilino di palazzo Chigi, però, i dem si dividono.

‘Io penso che il Governo debba continuare fino alla fine della legislatura, l’emergenza non è finita. Spero che il Governo continui con il presidente del Consiglio attuale’, dice chiaro Bettini e anche i franceschiniani (‘La figura di Draghi è fondamentale per il governo – dice Franco Mirabelli – Mettere mano a questo governo, viste anche le difficoltà del centrodestra, penso sia molto pericoloso’) concordano.

Stefano Bonaccini non è d’accordo: “Egoisticamente da presidente dell’Emilia Romagna preferirei che Draghi restasse dov’è ma sarebbe un errore che Draghi venisse tolto dalla corsa al Quirinale, io non brucerei alcun nome e mi terrei pronta ogni possibilità di contrapposizione all’iniziativa del centrodestra“, dice.

Voci diverse, poi, all’interno della sinistra interna al partito, con Orlando che preferirebbe che Draghi restasse premier, così come Orfini (‘Continuità dell’azione di Governo vuol dire che Draghi resti a palazzo Chigi, ricostruendo un’agibilità maggiore di quella che ha avuto in quest’ultimo mese’), mentre Peppe Provenzano e Gianni Cuperlo solo più in linea con il segretario.

Letta, in realtà, non intende farsi sponsor della linea ‘Draghi o morte’ ma è impegnato per mettere in campo l’opzione che più delle altre garantisca stabilità, con Draghi in uno dei due ruoli in modo da non perdere il suo valore aggiunto sia in termini di prestigio del Paese all’estero sia di dialogo con gli altri attori internazionali.

Per il segretario dem, poi, non è ancora da escludere l’ipotesi Mattarella bis: l’attuale presidente, è il ragionamento, va tenuto fuori dal totonomi e il suo nome non va prestato a politicizzazioni o strumentalità, ma va legato alla situazione di emergenza del Paese qualora il mantenimento dello status quo fosse per il sistema Italia l’orientamento prevalente dei grandi elettori.

La strategia, assicura Letta, sarà condivisa con gli alleati, nella speranza che il centrodestra, o almeno Matteo Salvini o Giorgia Meloni, abbiano un piano B da mettere in campo non appena la disamina dei numeri renderà ‘sconveniente’ la candidatura di Berlusconi.

Il messaggio che il leader dem manda agli avversari è chiaro: tolto dal tavolo il nome dell’ex Cav, il Pd non avrà nessuna pretesa di fare da ‘protezione civile’ delle istituzioni: “L’obiettivo che noi abbiamo – tiene a precisare – è quello di eleggere un presidente o una presidente che domani una volta svolte le elezioni del 2023, possa dare l’incarico di Governo a chiunque abbia vinto le elezioni”.

Meloni e Salvini, dice fuori dai denti un dirigente dem, “sanno benissimo che con Draghi al Colle è più facile per loro nel 2023 andare a palazzo Chigi, con una presidenza debole e divisiva questo non è possibile”.(LaPresse)

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