Rifiuta velo: 14enne picchiata dalla famiglia a Ostia. Ucoii: “Non islamizzare la notizia”

La sua "colpa" è stata quella di essere diventata "troppo occidentale", rifiutando di indossare il velo e di seguire i precetti della religione islamica.

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

ROMA – La sua “colpa” è stata quella di essere diventata “troppo occidentale”, rifiutando di indossare il velo e di seguire i precetti della religione islamica. Per questo motivo una adolescente di 14 anni – originaria del Bangladesh, ma residente a Ostia, sul litorale romano – veniva picchiata regolarmente dalla madre e, soprattutto, dal fratello 17enne.

Una vita scandita da calci e schiaffi, con la costante minaccia di essere rimandata nel Paese d’origine. Finché, lo scorso sabato, non ce l’ha fatta più. Dopo l’ennesima aggressione – una spinta contro un mobile che le ha causato un lieve trauma cranico – la 14enne ha detto basta e si è presentata in caserma: di fronte ai carabinieri di Ostia, con la testa dolorante e la fronte piena di graffi, ha così denunciato i maltrattamenti subiti tra le mura domestiche. Portata all’ospedale G.B. Grassi di Ostia, la giovane guarirà in una quindicina di giorni dalle ferite fisiche. Per quelle psicologiche, invece, riceverà aiuto e sostegno nella struttura protetta dove è stata accolta.

Yassine Lafram, presidente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii), contattato da LaPresse pur condannando la vicenda, mette in guardia dal rischio di “islamizzare le notizie”. Quello “della violenza domestica, di genere e dei genitori sui figli – sottolinea – è uno dei mali della nostra società” ed è “un problema trasversale, al di là della propria fede di appartenenza”. Lafram ricorda che nella religione islamica “un atto di fede può essere valido davanti a Dio solamente se c’è la volontà di chi lo compie e lo compie in libertà”. Se una persona viene obbligata “a vestire in un certo modo, o a mangiare certe cose”, questi atti di fede “non sono validi” perché “manca la volontà e la libertà della persona di decidere autonomamente”.

“L’educazione che i genitori – di qualsiasi religione siano – devono dare ai propri figli deve essere basata su amore, comprensione e rispetto. Non sulla violenza e sulla soggezione psicologica”, è il commento dell’Imam di Milano Yahya Pallavicini, presidente della Coreis, Comunità religiosa islamica italiana, contattato da LaPresse. Ma a volte capita che i genitori “strumentalizzino i precetti islamici” e “in nome di un formalismo esasperato, radicalizzino la propria ‘incomprensione’ dell’Occidente”, spiega l’Imam. “Mancano coerenza e saggezza. D’altra parte, picchiare e punire è più sbrigativo di comunicare e capire”.

La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, parla di “vicenda indegna” e coglie l’occasione per ribadire che “nel nostro Paese non c’è spazio per chi non è in grado di rispettare la nostra cultura e civiltà”. Anche William De Vecchis, senatore della Lega, condanna con fermezza “la vergognosa aggressione” subita dalla giovane e sottolinea come il “fanatismo religioso islamista” sia “incompatibile con la nostra comunità nazionale, già segnata da angoscianti vicende passate tristemente alla cronaca”. Il pensiero, infatti, non può che andare a Saman Abbas, la 18enne pakistana scomparsa lo scorso 30 aprile da Novellara, in provincia di Reggio Emilia. Anche lei si era ribellata alle leggi dell’Islam, rifiutandosi di sposare un cugino. E anche lei era stata punita dalla famiglia: svanita nel nulla, per gli inquirenti è stata uccisa dallo zio, Danish Hasnain, arrestato a Parigi e in attesa del verdetto di estradizione in Italia.

di Giusi Brega

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