Sarri archivia il ‘comandante’, Juve alle porte: “La politica non mi appassiona più, pronto a non indossare la tuta se la società me lo chiederà. Nel calcio le bandiere non esistono più, voglio tornare in Italia”

NAPOLI – Nessuna retromarcia rispetto alle parole dette dopo la finale di Europa League. Con la Juve che ormai è pronta ad accoglierlo in panchina, Maurizio Sarri parla a Vanity Fair e si tira fuori dalla polemica sulle bandiere, nelle ore in cui i tifosi del Napoli sono inviperiti per il suo possibile passaggio in bianconero. Chi all’ombra del Vesuvio lo ha amato e definito Comandante da seguire in un assalto al ‘palazzo’ del calcio è ormai in posizione decisamente diversa da quella espressa dal tecnico di Figline Valdarno. “I napoletani conoscono l’amore che provo per loro, ho scelto l’estero l’anno scorso per non andare in una squadra italiana. La professione può portare ad altri percorsi, non cambierà il rapporto. Fedeltà è dare il 110% nel momento in cui ci sei. Che vuol dire essere fedele? E se un giorno la società ti manda via? Che fai: resti fedele a una moglie da cui hai divorziato? L’ultima bandiera è stata Totti, in futuro ne avremo zero”.

Addio alle bandiere. Anche a quella ‘rossa’

Addio bandiere, quindi. Sarri ribadisce che il suo prossimo passaggio lavorativo non sarà scelta di cuore. Ribadisce che, ormai, l’unico faro è quello dell’opportunità di miglioramento di carriera: “Per noi italiani il richiamo di casa è forte. Senti che manca qualcosa. È stato un anno pesante. Comincio a sentire il peso degli amici lontani, dei genitori anziani che vedo di rado. Ma alla mia età faccio solo scelte professionali”. E da altre parole dell’intervista all’allenatore emerge anche come l’immagine dell’uomo di sinistra tutto di un pezzo sia ormai da archiviare: “La mia estrazione è nota. Papà era gruista all’Italsider di Bagnoli. Mio nonno era partigiano, salvò due aviatori americani abbattuti dai nazisti, li tenne in casa per due mesi. È normale che avessi certe idee, oggi la politica non mi interessa più. Vedo storie di una tristezza estrema. Da lontano l’Italia è un posto che spreca occasioni”.

E la tuta finisce nell’armadio

Nell’intervista a Vanity Fair Sarri demolisce il suo stesso personaggio. Prima prende le distanze dall’assalto al palazzo, poi azzera la sua passione politica e infine fa cadere anche l’ultimo ‘simbolo’: “La tuta? Se la società mi imponesse di andar vestito in altro modo, dovrei accettare. A me fanno tenerezza i giovani colleghi del campionato Primavera che portano la cravatta su campi improponibili. Mi fanno tristezza, sinceramente”. L’uomo del dito medio ai tifosi bianconeri, dei rigori che vengono dati solo alle squadre a strisce, della passione politica ‘rossa’, dei colpi di Stato con 13-14 uomini guidati da un comandante in tuta sembra un lontano ricordo. Alle porte c’è la Juve. Alle spalle, probabilmente, l’amore viscerale di quella tifoseria azzurra che spesso ha esposto striscioni con la scritta “Sarri uno di noi”. Il rispetto e i ricordi resteranno. Per l’amore sarà un po’ più difficile.

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