Serve un Pd all’altezza della realtà

Rileggere la storia di questi anni per noi diventa un esercizio irrinunciabile. Siamo apparsi distanti, a volte addirittura arroganti o comunque non pienamente in sintonia con le paure ed i bisogni di chi soprattutto negli anni della crisi ha perso tutto

Siamo dentro una vicenda politica assolutamente inedita nella storia repubblicana del nostro Paese. Ciò che è accaduto qui con l’avanzare di forze sovraniste e di destra e movimenti oltre i partiti tradizionali ha molto in comune con quanto è accaduto in tante democrazie europee, negli Stati Uniti d’America e per ultimo nel Brasile del suo nuovo Presidente Bolsonaro. Più le forze riformiste, progressiste e di sinistra hanno manifestato la loro incapacità di interpretare il passaggio di millennio della nostra umanità e le contraddizioni della globalizzazione nella società, più si sono affermate culture e organizzazioni in grado di intercettare la paura degli esclusi ma assolutamente inadeguate a volgere quelle paure in speranza. Fermiamoci sul presente del nostro Paese.

Ad oggi gli indicatori economici, dopo sei mesi di governo verde-giallo, ci dicono che la disoccupazione torna a crescere; che gli effetti del cosiddetto Decreto Dignità pesano per il mancato rinnovo di migliaia di contratti a tempo determinato rivolti prevalentemente a giovani; “quota 100” avrà una durata temporanea e comunque ad oggi non ci sono le risorse sufficienti per garantire la pensione anticipata a 446mila lavoratori sui quali comunque graverà un taglio netto dell’assegno mensile del 22%; il Reddito di cittadinanza, bandiera di Di Maio e dei pentastellati, forse partirà ad Aprile 2019 con coperture sufficienti solo fino alla fine del prossimo anno e con una platea di destinatari ancora non chiara nei numeri (evito di dilungarmi sulla favola dei 5/6 milioni di card in stampa e presso chissà quale tipografia segreta). Non c’è possibilità di una ripartenza senza il Pd. Ma serve un partito all’altezza di questa sfida.

Rileggere la storia di questi anni per noi diventa un esercizio irrinunciabile. Siamo apparsi distanti, a volte addirittura arroganti o comunque non pienamente in sintonia con le paure ed i bisogni di chi soprattutto negli anni della crisi ha perso tutto, anche la dignità come persona spesso non trovando in noi l’ascolto o la risposta alla propria sofferenza, paura, marginalità. Parliamo di milioni persone, spesso di giovani, in tanti casi di un pezzo rilevante del ceto medio e delle professioni, di tanta parte del lavoro operaio ed industriale. Il solco è stato via via nel tempo più profondo nonostante tantissimi erano stati i segnali di allarme nei confronti del nostro operato puntualmente inascoltati: il voto nelle grandi città, il referendum, l’enorme area di astensione dal voto anche quando si è vinto in una regione come l’Emilia Romagna. Tanti segnali forti ai quali non si è voluto dare risposta pagando qui il prezzo di un’arroganza che è stata interpretata come cinismo da tanta parte di cittadini e atto suicida per il nostro partito. Oggi siamo nel pieno del congresso nazionale. Le date sono state definite, il regolamento approvato e tra pochi giorni saranno ufficializzate formalmente le candidature.

Abbiamo bisogno di ricostruire una credibilità, di tornare nei luoghi dove la gente vive, di un modello organizzativo che tenga dentro presenza sul territorio e le opportunità infinite che offre la rete. Abbiamo bisogno di un gruppo dirigente rinnovato, più colto, capace di interpretare i cambiamenti profondi di società sempre più veloci, e di nuove categorie di analisi.

Abbiamo bisogno di iscritti veri e di primarie vere. Dobbiamo ricostruire alleanze sociali a partire dal rapporto con le grandi organizzazioni sindacali e con tanti fermenti vivi nel mondo della cultura, dell’associazionismo, di un rinnovato impegno a difesa dell’ambiente come missione indispensabile per la vita del nostro pianeta.

Dobbiamo cambiare pelle, dire a tantissimi nostri elettori in fuga che abbiamo imparato la lezione, che siamo pronti a ripartire proprio da lì dove la separazione tra noi e “loro” si è consumata: scuola e mercato del lavoro, ad esempio. Non si tratta di abiurare la nostra esperienza ma per una volta di rileggerla capendo cosa non ha funzionato. Ne va di mezzo il destino del Pd ma più ancora il volto, il futuro e la tenuta delle istituzioni democratiche dell’Italia dei prossimi anni.

Antonio Marciano, consigliere regionale Pd (questore alle Finanze)

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome