Clan dei Casalesi, si pente Walter Schiavone

Per la Dda l’occasione di demolire la cosca fondata dal papà Francesco Sandokan Schiavone

Walter Schiavone

Se il pentimento del primogenito di Sandokan è stato una ‘mazzata’ per i Casalesi (nella sostanza e mediaticamente), ora, la scelta di Walter di collaborare potrebbe rappresentare per loro il colpo di grazia. Per quale ragione? Perché a differenze del fratello, che ha una conoscenza dei fatti di mafia limitata al giugno 2010, data del suo arresto, Walter, come detto, ha informazioni più attuali: il suo know-how criminale termina nel 2018. Insomma, potenzialmente potrà riferire su questioni relativamente fresche, circostanza che dovrebbe consentire alla Dda di colpire con forza ciò che resta dei Casalesi e soprattutto di ostacolare il loro riaffermarsi sul territorio.

Lo scorso giugno Walter era stato raggiunto da un’ordinanza cautelare in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. Un provvedimento cautelare innescato dall’indagine condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta.
Il lavoro dei militari dell’Arma ha fatto emergere il ruolo di vertice che avrebbe avuto nel gruppo mafioso dal 2015 al 2018: in questo periodo ha riscosso i proventi delle estorsioni, le quote spettanti al clan sui traffici di sostanze stupefacenti e sui giri di prostituzione. Secondo gli inquirenti ha tentato, inoltre, di monopolizzare il mercato distributivo di prodotti caseari in Terra di Lavoro, sfruttando società intestate a prestanome (ma a lui riconducibili).

La speranza è che quella di Walter Schiavone sia una collaborazione con la giustizia fruttuosa, solida. Che si senta o meno in colpa per ciò che ha fatto deve importare poco. Sicuramente saperlo ‘pentito’ (affranto dal rimorso) farebbe piacere. Ma nella lotta alla mafia serve anche cinismo. E nel rispetto delle vittime della criminalità organizzata, non dimenticandole mai, l’aspetto fondamentale è che le informazioni del collaboratore di turno, in questo caso di Walter, siano precise, genuine e soprattutto che non lascino ombre. Per ora quelle emerse riguardano la sua persona e gli aiuti ricevuti in alcune attività illecite. Ha ammesso di aver fatto parte del clan dei Casalesi dal 2013 al 2018. Con i soldi ottenuti dal pizzo, dall’imposizione dei prodotti caseari e dello spaccio di droga, ha raccontato di aver “provveduto al mantenimento economico” dei familiari, ovvero del papà Sandokan, dei fratelli Nicola e Carmine, all’epoca detenuti al 41 bis, ed anche al sostentamento della madre, Giuseppina Nappa (dal 2018 sottoposta a programma di protezione). Ha puntato il dito, inoltre, contro chi lo avrebbe aiutato nei business illegali, come lo spaccio di droga, settore rispetto al quale l’ala storica del clan cercava di prendere le distanze.

Se una parte della famiglia di Francesco Schiavone ha scelto di collaborare con la giustizia, di lasciare Casale, sfruttando il programma di protezione attivato dopo il pentimento di Nicola, ce ne è ancora una che tragicamente ‘resiste’, che non prende le distanza dalla mafia che ha ucciso, interrato rifiuti e mortificato il tessuto imprenditoriale della provincia. Carmine, Emanuele Libero, entrambi ancora in carcere, e Ivanhoe Schiavone, fratelli di Nicola e Walter, a differenza della mamma e delle sorelle hanno detto no alla nuova vita.

E’ a processo con l’accusa di camorra

I segnali che Walter Schiavone avrebbe iniziato a collaborare con la giustizia c’erano tutti. La scelta presa tre anni fa di lasciare l’Agro aversano e intraprendere una nuova vita, sotto l’ala del Servizio centrale di protezione, dimostrò il desiderio di mettersi la mafia alla spalle. E il passo decisivo, l’ultima tappa di quel percorso, lo ha compiuto ieri, durante l’udienza preliminare che si sta svolgendo dinanzi al Tribunale di Napoli. Rispondendo alle domande del suo legale, l’avvocato Domenico Esposito, ha ammesso di aver commesso i reati che gli contesta la Dda e di aver ufficialmente iniziato un percorso collaborativo con la giustizia.

Walter rischia il rinvio a giudizio per camorra, estorsione, trasferimento fraudolento di beni e concorrenza illecita. Quasi sicuramente sceglierà di essere processato con rito abbreviato, evitando il dibattimento. L’inchiesta che ha tirato in ballo il figlio di Sandokan ha portato davanti al giudice anche Antonio Bianco (nella foto a sinistra), 41enne di Villa di Briano, e Armando Diana (nella foto a destra), 40enne di Casale, nipote del boss Elio, accusati di associazione mafiosa ed estorsione. I due rispondono anche di trasferimento fraudolento di beni in concorso con Nicola Baldascino, 44enne di Casal di Principe, in relazione all’intestazione fittizia della società I Freschissimi, e di concorrenza illecita (l’imposizione delle mozzarelle e altri prodotti in nome del clan). Ipotesi di reato, questa, contestata anche a Davide Natale, 26enne di Casale. Rischia il rinvio a giudizio anche Gaetana Vittorio, moglie di Walter, accusata di favoreggiamento: avrebbe aiutato il marito ad incamerare i profitti illeciti. Nel collegio difensivo gli avvocati Paolo Caterino, Mirella Baldascino, Giuseppe Stellato, Emilio Martino, Gianluca Corvino e Romolo Vignola. Sul tavolo del giudice sono anche arrivate tre pagine scritte a mano da Walter nelle quali, dando ragione agli inquirenti, coinvolge nei business illeciti Bianco, Diana, Baldascino e Natale.

L’udienza preliminare riprenderà a metà dicembre: in quella data Bianco e Diana hanno manifestato l’intenzione di essere interrogati per chiarire la sua posizione

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