Siamo tutti la maestra-sposa

La foto dell’insegnante che si è precipitata in abito da sposa a firmare l’incarico annuale pena l’esclusione dovrebbe vincere un qualsivoglia premio come foto dell’anno. Era difficile, in uno scatto, racchiudere tutta l’Italia che non funziona. A sublimare l’arte, poi, la didascalia che ha accompagnato il post della scuola che, ingenua come un bambino che vede per la prima volta il mare, recita: “Ne abbiamo viste tante nella scuola ma una così mai. Una nuova collega, almeno per quest’anno, doveva firmare l’assegnazione dell’incarico annuale per la disciplina di Matematica, aveva un impegno molto importante ma ha trovato il modo di venire comunque a scuola. Auguri Carmela, sei già entrata nei nostri cuori”. Ne abbiamo viste tante un corno. L’incarico annuale, la supplenza, il tutto per fare punteggio, miscelato all’incapacità di trovare soluzioni più rispettose degli altri del preavviso modello Giochi senza Frontiere di 12 ore “pena l’esclusione”: in quello scatto c’è tutto lo Stato arrogante che non comprende nemmeno più quali limiti ha valicato. C’è la corsa al posto fisso come viatico di Salvezza per entrare nelle fila di quello Stato arrogante. C’è l’inconsapevolezza di chi – della macchina burocratica già appartenente – posta una foto del genere e magari poi ha da dire se lavora dieci minuti in più dell’orario sindacale (mentre gli altri possono anche prendersi un’ora di pausa dal proprio matrimonio). Ma c’è di più. C’è uno Stato che dovrebbe parlare di digitalizzazione e sburocratizzazione che non riesce a ovviare, nell’anno 2021 e con le regole sociali che ha sé stesso creato, a una firma che potrebbe essere inoltrata con ogni mezzo. Identità digitali, per dirne una. In una scuola che dovrebbe controllare i green pass con una piattaforma digitale, sempre statale, che non è ancora arrivata. Con colpevole ritardo. Ritardo che l’istituzione può permettersi, ma la povera Carmela no, pena 365 giorni di supplenze e precariato ancor più precario dell’incarico annuale. La foto dell’anno è anche specchio della società del web che commenta, e che si indigna, ma che è la stessa società chiamata in tantissimi Comuni, tra cui Napoli, a scegliere i suoi rappresentanti per il prossimo quinquennio. È la società che sa indignarsi dietro a un monitor ma non più de visu. Quella che se la prende con un generico mostro chiamato Stato, ma senza cogliere le sfumature e gli interpreti magistrali di tale disastro chiamato Italia. E chiamato Napoli. Ogni giorno assumiamo come fatto naturale, esattamente come la scuola che ha fatto la foto a Carmela e l’ha pubblicata, ogni abominio di una società malata: dai compromessi lavorativi che portano a credere naturale accettare contratti parziali anziché a tempo pieno alle corse ad ostacoli per accedere a posizioni di diritto spettanti. Ieri chiacchieravo con un consulente finanziario che mi spiegava che anche le banche sanno che i ricorsi consueti agli straordinari in busta paga sono da assumere al reddito del richiedente mutuo perché “è solo un modo per pagare meno tasse”. E quel disastro iniziato qualche generazione fa che vede nella generazione nostra un disastro annunciato – la generazione che non andrà mai in pensione, tanto per dirne una – ora ci porta a vedere una sposa firmare l’incarico e incazzarci ma senza percepirne bene il motivo. Ecco, ve lo spiego io: perché il 90 percento di noi è quella sposa per un motivo o per un altro, e che sia naturale per gli altri ci fa montare l’ira dell’ingiustizia subita.

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