Un dibattito già morto

In una Napoli che continua a essere vittima di se stessa, in cui i pizzaioli vanno sui giornali a spiegare perché l’inoccupazione in città è legata al reddito di cittadinanza con l’appeal dell’opinion leader di lungo corso, capita che la qualità di un amministratore possa essere legata in qualche modo alle sue simpatie calcistiche. Succede a Gaetano Manfredi, un uomo che nella vita è stato Magnifico Rettore della prestigiosa istituzione universitaria voluta da Federico II di Svevia nel 1224 e che ha ricoperto la carica di Ministro dell’Università nell’ultimo Governo Conte. Una volta ufficializzata la candidatura, qualcuno è andato a ripescare nei meandri della memoria (e dei podcast) l’intervista di qualche mese fa in cui Manfredi candidamente ammetteva di essere tifoso della Juventus.

Poteva finire lì, come simpatico gossip e curiosità come fu con l’allora candidato Brambilla, aspirante sindaco del M5S alle ultime elezioni comunali cittadine, che già si presentava in corsa allo scranno più alto di Palazzo San Giacomo con un cognome settentrionalissimo. Invece no: alcuni acuti osservatori, anche nel mondo della comunicazione, hanno parlato di autogol clamoroso spiegandoci che in questa città non si doveva fare. Addirittura, qualcuno ha ipotizzato che sarebbe stato il caso di tener nascosta la propria fede calcistica come un qualche amministratore che si sussurra da 10 anni abbia nascosto la sciarpa nerazzurra con estrema furbizia nel mobile (indovinate chi?).

Tralasciamo il fatto che l’intervista è stata rilasciata quando Manfredi manco immaginava, probabilmente, di essere la scelta unitaria Pd/Pentastellati per la candidatura a sindaco partenopeo. In una Napoli condannata a essere vittima di se stessa, l’appartenenza calcistica decisiva ai fini del voto non è altro che uno stereotipo mantenuto, l’ennesima barzelletta su un popolo che da anni rivendica il passaggio della questione meridionale attraverso una società di profitto gestita da un imprenditore romano con sede nel casertano. Questione ben più seria di cosa accade la domenica, senza voler sminuire nessuna posizione. Ma del resto, cosa aspettarci in una corsa politica cominciata solo ora a causa di atavici ritardi dovuti da un lato nell’esprimere una scelta (del resto, dalla combo di partiti a sostegno della candidatura di Manfredi come aspettarsi diversamente) e dall’altro nel far finta che la scelta non sia stata già presa tempo fa.

Cosa aspettarci se da quelli che la campagna elettorale l’hanno già cominciata ufficialmente da tempo al momento arrivano proposte del tipo: “Dedichiamo una piazza a Mario Merola” nell’ormai ufficiale tribuna elettorale di Peppe Iodice. Proposta rilanciata con un post in cui le logiche da social influencer (ringraziamento all’hair stylist) superano le altre. Ma non è che Bassolinik, la campagna a fumetti fatta dall’ex Governatore ed ex Sindaco, sia poi così diversa nel risultato. Le tavole pubblicate sulla pagina dalle ambizioni virali inattese “Bassolino dice cose” non fanno ridere e non fanno riflettere. E non spostano di un centimetro la qualità del dibattito. Come non la spostano gli endorsement incassati da Sergio D’Angelo, non ultimo quello di Maradona jr (a proposito di pallone).

E con Gaetano Manfredi che a distanza di una settimana dal “Non posso candidarmi perché questa città è fallita” passa al “Mi candido” (spiazzando notevolmente le nostre già precarie convinzioni in tema) e Catello Maresca che, spritz di Cammarota alla mano, parte volendosi a tutti i costi smarcare dalla Lega ma che è sostenuto dalla Lega, forse è vero quello che dicevano gli osservatori esterni. In una Napoli ancora nel 2021 vittima di se stessa, in una campagna elettorale fatta ancora dalle stesse frasi fatte (100 ne ho raccolte in un libro e già ne ho sentite usare 90), il calcio è sì una cosa seria. Almeno al confronto di quanto finora espresso.

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