Vecchia e cara ai giovani di diverse generazioni (quelli ai quali a scuola si insegnava anche la letteratura italiana), la trilogia di Italo Calvino “I nostri antenati”. In particolare la storia di Medardo, visconte di Terralba, che, centrato da una palla di cannone, ebbe diviso – esattamente in due parti identiche – il proprio corpo. Il caso, straordinario nel suo genere, lo fu ancor di più perché a sopravvivere fu la parte malvagia del visconte il quale, proprio in virtù di questo fenomeno, si trasformò in un feroce governante che “dimezzava” tutto quello poteva. Un paradossale riferimento culturale, quello preso in prestito dal celebre scrittore, che si trasforma in un’appropriata allegoria di ciò a cui stiamo assistendo, in questi giorni, nell’eterna lotta tra il governo italiano e l’Unione Europea, alla vigilia della temuta resa dei conti (di bilancio ovviamente) per l’accertamento dell’avvenuto raggiungimento degli obiettivi di contenimento del debito statale. Un esame che, lo ricordiamo ai “duri” di memoria, era stato concordato nel 2018 allorquando gli attuali esponenti dell’esecutivo gialloverde ritennero di poter alzare il rapporto tra il deficit statale ed il prodotto interno lordo (la quantità di ricchezza prodotta) oltre le soglie fissate dalla UE. Un vero e proprio “azzardo”, fatto solo per poter erogare le prebende promesse in campagna elettorale. Tale aumento, si badi bene, avrebbe dovuto comportare il “salto in alto” delle entrate sottoforma di incremento dell’IVA al 25 percento e di altre imposte dirette. Più facile a dirsi che a farsi, perché si raggiunse, allora, un difficile compromesso, di natura politica più che economica, di soprassedere alla crescita delle tasse con l’impegno, da parte del governo, di reperire, nel Documento di programmazione economica dell’anno 2919, almeno trenta miliardi di euro per sopperire ai mancati incassi. Patti semplici ed arcinoti a tutti i commentatori di cose politiche, ma anche ai parlamentari ed ai cittadini che si attendevano (e ancora si attendono) che venisse evitata la più iniqua delle gabelle: quella sui consumi come l’IVA, perché avrebbe finito col colpire tutti, indistintamente, ricchi e poveri. Ora, di quel solenne “impegno”, nessuno vuole più parlare e tutto viene furbescamente rimesso in discussione. Si ripete cioè il copione dell’anno passato: i due “capitan fracassa” ricominciano con la solfa della perfida Europa che intende affamare gli Italiani, comprimere il benessere del popolo, chiedere un blocco delle politiche assistenziali con la leva della spesa pubblica a debito crescente. Ecco quindi i giornalieri squilli di tromba per avvertire, come fa Di Maio, che non chineremo la testa; oppure, come fa Salvini, che difende il diritto del governo di poter tagliare le tasse, come gli pare e piace, con buona pace degli obblighi di bilancio assunti in passato. Insomma: un voler riproporre la vecchia e stantia politica politicante. Quella peggiore, fatta di elargizioni (leggi: reddito di cittadinanza) e di sconti sulle tasse a debito statale crescente. A peggiorare le cose ci si è messo, nei giorni scorsi, l’economista Paolo Savona, ex ministro della Lega (passato poi alla Consob), il quale ha avvertito che il rapporto tra debito statale e ricchezza prodotta, potrebbe raggiungere anche il 200% e nulla cambierebbe nell’economia italiana. Musica per le orecchie degli investitori che compreranno i nostri titoli di Stato pretendendo un riconoscimento di interessi più alto! Insomma: siamo di fronte alla riedizione dell’allegra cuccagna delle greppie basse. Tanto, al futuro ci pensa Dio! A patto, s’intende, che il popolo sia trasformato in una massa plaudente di entusiastici votanti. Come Medardo, anche il premier Conte dimezza le cifre da recuperare, sulla base delle promesse fatte a suo tempo alla commissione Ue, rafforzando, nei partner europei, il convincimento che l’Italia voglia essere il paese di Bengodi più che quello con i conti in regola. Insomma: si sta saccheggiando lo Stato con la protervia degli ignoranti e la scaltrezza dei peggiori politicanti.