Carceri, Bonafede: nessuna interferenze su Di Matteo, rivaluteremo scarcerazioni boss

Due, ricostruisce Bonafede, furono i ruoli ipotizzati per il magistrato: "Il vertice dell'amministrazione penitenziaria oppure un ruolo che fosse in qualche modo equivalente alla posizione ricoperta a suo tempo da Giovanni Falcone, a seguito di riorganizzazione"

Foto Vincenzo Livieri - LaPresse in foto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede

ROMA – “Ci tengo a ribadire che la mia azione è, è stata e sarà sempre improntata alla lotta alle mafie”. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in aula alla Camera prova a difendersi – nel brusio delle opposizioni – dalle accuse di questi giorni. Una è quella suscitata dalle parole del pm Nino Di Matteo sulla sua mancata nomina a capo del Dap. L’altra è legata alla scarcerazione di alcuni detenuti di massima di sicurezza in relazione all’epidemia Coronavirus.

Il coinvolgimento di Di Matteo, spiega Bonafede era stato ipotizzato “nelle normali interlocuzioni per la formazione della squadra”. E se le cose poi sono andate diversamente è perché “non ci furono i presupposti”. Ma soprattutto, ci tiene a precisare, “nel giugno 2018 non vi fu alcuna ‘interferenza’, diretta o indiretta, nella nomina del capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. E dunque “ogni altra ipotesi o illazione costruita in questi giorni da alcune forze politiche, è del tutto campata in aria”, sottolinea il Guardasigilli.

Due, ricostruisce Bonafede, furono i ruoli ipotizzati per il magistrato: “Il vertice dell’amministrazione penitenziaria oppure un ruolo che fosse in qualche modo equivalente alla posizione ricoperta a suo tempo da Giovanni Falcone, a seguito di riorganizzazione. Mi convinsi, dopo una prima telefonata e in occasione del primo incontro al ministero, che questa seconda opzione fosse la più giusta, perché avrebbe consentito a Di Matteo di lavorare in via Arenula, al mio fianco”. Poi non se ne fece più nulla. Diversa la ricostruzione dei fatti del magistrato, ribadita in un’intervista a Repubblica: nella prima telefonata “mi pose l’alternativa, andare a dirigere il Dap oppure prendere il posto di capo degli Affari penali”. Il martedì, a Roma, al ministero della Giustizia “mi sedetti davanti a Bonafede e gli dissi che accettavo il posto di capo del Dap. Lui però, a quel punto, replicò che aveva già scelto Basentini”. Bonafede, è la ricostruzione di Di Matteo, “insistette sugli Affari penali, parlò di moral suasion con la collega Donati perché accettasse un trasferimento”. Il giorno dopo nuovo incontro, “io gli dico di non tenermi più presente per alcun incarico, lui ribatte che per gli Affari penali ‘non c’è dissenso o mancato gradimento che tenga’. Una frase che, se riferita al Dap, ovviamente mi ha fatto pensare. Da allora mi sono sempre chiesto cos’era accaduto nel frattempo. Se, e da dove, fosse giunta un’indicazione negativa, magari uno stop degli alleati o da altri, questo io non posso saperlo”.

Ma Bonafede deve difendersi anche in un’altra polemica, quella che riguarda la scarcerazione di detenuti in massima sorveglianza. “E’ opera dei magistrati”, interviene il capo politico pentastellato Vito Crimi. Mentre il Guardasigilli annuncia di avere in cantiere “un decreto legge che permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni di detenuti di alta sicurezza e al regime di 41 bis”. Un’opzione caldeggiata dal procuratore nazionale antimafia Federico Cagiero De Raho, secondo cui “sarebbe un’ottima soluzione trovare spiragli per far rientrare in carcere almeno i più pericolosi”.

di Antonella Scutiero (LaPresse)

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