Messaggi criptici dal carcere, il boss Martinelli resta al 41 bis

Respinta la richiesta di domiciliari dei legali per motivi di salute. I giudici: può essere curato in cella. Secondo la Dna il figlio è vicino ad esponenti del clan dei Casalesi

SAN CIPRIANO D’AVERSA – Domiciliari negati ad Enrico Martinelli (nella foto al centro): il boss 56enne resta al 41 bis. Già il tribunale di Sorveglianza di Bologna il 29 maggio dell’anno scorso aveva detto no agli arresti in casa per il sanciprianese. Contro quella decisione, gli avvocati Alfredo Gaito e Valerio Vianello Accorretti avevano presentato ricorso per Cassazione. Ma anche i giudici romani gli hanno risposto picche. A pesare sulla decisione è stato il passato criminale di Martinelli, che, affiancando Antonio Iovine (nella foto a sinistra, collaboratore di giustizia dal 2014) nella gestione della cosca, ha ricoperto un ruolo di vertice nel clan dei Casalesi. E ha inciso, ha messo nero su bianco la Suprema corte, anche “il mantenimento da parte di suoi figlio (Emilio, nella foto a destra) di rapporti con esponenti apicali del clan, per come emerso dalle indagini riportate nella nota della Dna del 7 maggio 2020”.

A mettere in allerta i togati della capitale sono stati pure i colloqui registrati tra il 56enne e i familiari, durante i quali “mantenendo un atteggiamento lucido e vigile ed usando messaggi in codice ed un linguaggio criptico, ha ricevuto e fornito informazioni su fatti e persone del territorio sul quale ha esercitato una forte egemonia per un considerevole lasso di tempo, nonché dimostrando interesse alle vicende narrate dai collaboratori di giustizia”. Elementi che hanno fatto ritenere alla Cassazione la probabilità che Martinelli, una volta tornato a casa, avesse potuto “commettere nuovi reati”.

Se gli avvocati del boss avevano chiesto ai giudici di concedergli gli arresti a casa, è per le sue condizioni di salute non ottimali che lo avevano portato anche a sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico. Secondo i suoi difensori, “le oggettive deficienze della struttura detentiva hanno aumentato i fattori di rischio” per Martinelli e i controlli a cui si deve sottoporre restando in carcere vengono eseguiti in grave ritardo. Il tutto, avevano sostenuto nel ricorso i difensori, determinano una detenzione inumana e degradante per il loro assistito. Tesi che la Suprema corte non ha ritenuto valide, sostenendo che il boss può continuare ad essere curato in prigione.

Tra le varie condanne irrevocabili riportate dal 56enne ci sono i due ergastoli per gli omicidi di Liliano Diana e del boss Vincenzo De Falco, entrambi avvenuti nel 1991.

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