Il mugnaio di Sans-Souci

E’ fin troppo nota la vicenda storica della controversia giudiziaria insorta tra Federico II di Prussia ed il mugnaio Arnoud, ovvero tra il potente imperatore e un inerme cittadino. La storia si svolge presso il castello di Sans-Souci che in francese significa, letteralmente, “senza problemi”, quindi un luogo ameno, adatto al riposo. Pare che innanzi a quel castello sorgesse, da tempo immemore, un mulino ad acqua che disturbava, non poco, la vista del panorama sulla verdeggiante foresta. Su questo fatto, storicamente provato, si sarebbe dunque innestata la celebre frase destinata a rendere immortale l’evento, ovvero che innanzi alle minacce dell’imperatore di far demolire quel mulino, il mugnaio ebbe a rispondere: “ci sarà pure un giudice a Berlino”. Per quanto frutto di un’invenzione letteraria, quella frase è diventata un riferimento per tutti coloro i quali invocano la giustizia serena, non condizionata da alcuna sudditanza verso il potere né influenzata da alcun compromesso. Rivolgendosi alla giustizia ed al giudice naturale, il mugnaio ebbe così vinta la partita col prepotente sovrano. L’appellarsi ad una giustizia giusta, l’applicazione equanime della legge ed il rispetto dell’imputato e dei suoi diritti costituzionali, sono affermazioni più volte richiamate in Italia, innanzi a casi di abuso e di comportamento scorretti dei togati o di palesi disfunzioni del sistema giudiziario e carcerario. Quanto accaduto, sia pure a scoppio ritardato, nei confronti di cinquantadue agenti di custodia del carcere di Santa Maria Capua Vetere, sottoposti ad altrettanti provvedimenti di custodia perché rei di aver sottoposto i detenuti a umiliazione e percosse, richiama quelle stesse invocazioni ad una giustizia serena ed efficiente. Nel Belpaese è già capitato che chi rappresentava lo Stato si fosse appropriato della rappresentanza del medesimo per fare quello che a nessuno Stato dovrebbe essere concesso. Sono ancora nella memoria collettiva i pestaggi avvenuti a Genova nel corso del G8 del 2001, nella caserma Diaz ove decine di giovani furono sommariamente malmenati per chiudere i conti con quanti avevano devastato la città. Una specie di legge del taglione, occhio per occhio dente per dente, che taluni prepotenti in divisa ritengono di dover applicare immemori del fatto che lo Stato democratico ha certo il dovere di tutelare la sicurezza dei cittadini e della libertà e della proprietà dei medesimi, ma ha anche quello di agire nel rispetto dei diritti riconosciuti e garantiti ad ogni singolo individuo. Appropriarsi dei diritti senza osservare i doveri ed i limiti imposti alla forza di cui una Nazione dispone, significa negare lo stato di diritto e la democrazia. In un Paese ove la parola liberale ricorre spesso solo sulla bocca dei demagoghi e degli sprovveduti la lezione di Voltaire sulla tolleranza è sconosciuta. Lo stesso filosofo francese soleva ripetere che per stabilire il grado di civiltà esistente in un paese straniero occorreva visitarne le carceri ed i tribunali. Ebbene, se qualche straniero avesse visitato la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere mentre si verificavano quegli abusi, non avrebbe certo riconosciuto di trovarsi in quella nazione che è culla del diritto romano, la legge che ha pervaso ed orientato le legislazioni di tutto mondo occidentale. Eppure la ribellione di quei detenuti, da cui poi sarebbe sorta la dura reazione dei secondini, aveva fondati motivi di essere: il timore di poter essere contagiati dal Covid-19. Tra le sbarre del carcere, spesso in ambienti sovraffollati e promiscui, indegni, in molti casi, di ospitare esseri umani, certo non poteva essere garantito isolamento e sanificazione come altrove. Lo stesso Stato che gestisce quegli istituti di pena, si arroga poi il diritto di reprimere più che rassicurare, umiliare invece di proteggere. Un atteggiamento intollerabile nello stato di diritto, quello nel quale la morale pubblica risiede nelle leggi, che poco preoccupa chi governa. Ascoltare Matteo Salvini che si dimena per difendere i diritti dei detenuti ed il corpo delle guardie carcerarie, è pura demagogia: pubblicità camuffata da morale. Una mortificazione che gli italiani non meritano. Che manchino gli agenti, che questi patiscano turni di lavoro massacranti, che debbano sopperire a carenze e disfunzioni in carceri sovraffollate è certamente vero. Che questo sia l’origine della violenza e magari di una sorta di “attenuante generica”, è non solo falso ma anche eversivo. Il capo di un partito che si offre a tali metodi strumentali, va fermato non per quello che fa ma per quello che esso è veramente. Un soggetto privo degli elementari requisiti per distinguere gli abusati dagli abusi. Come tale non cerca, come il mugnaio Arnoud, un giudice a Berlino, ovvero la giustizia serena, ma solo un poco di propaganda.

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