BRUXELLES – Avevano annunciano che avrebbero usato tutti gli strumenti a disposizione, e ora dalla Commissione europea sono partite le procedure di infrazione contro Ungheria e Polonia. L’accusa è quella di aver violato il diritto dell’Ue e i diritti fondamentali di non discriminazione delle persone Lgbtiq.
Per l’Ungheria la decisione riguarda la legge che proibisce rappresentazioni e contenuti su orientamenti sessuali a minori mentre per la Polonia la decisione riguarda le cosiddette “zone Lgbt free”. I due Paesi hanno ora due mesi di tempo per dare le dovute spiegazioni e correggere il tiro, in caso contrario la Commissione Ue potrà emettere un parere motivato e poi deferirli alla Corte di giustizia europea.
“Il 23 giugno 2021 – si legge nella nota con cui la Commissione ha spiegato la decisione verso il governo di Budapest – l’Ungheria ha pubblicato una legge che prevede una serie di misure restrittive e discriminatorie; in particolare, vieta o limita l’accesso a contenuti che diffondano o ritraggano la cosiddetta ‘divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita, al cambio di sesso o all’omosessualità’ per le persone di età inferiore ai 18 anni. In questo caso l’Ungheria non ha spiegato perché l’esposizione dei bambini a contenuti Lgbtiq in quanto tale sarebbe dannosa per il loro benessere o non è in linea con l’interesse superiore del bambino”.
Tra i punti rilevati nella lettera di messa in mora che potrebbero essere in contrasto con il diritto comunitario figurano: la violazione della direttiva sui servizi di media audiovisivi “poiché l’Ungheria ha posto in essere restrizioni ingiustificate che discriminano le persone in base al loro orientamento sessuale e sono inoltre sproporzionati” e la direttiva sul commercio elettronico in quanto la legge ungherese vieta la fornitura di servizi che mostrano contenuti che mostrano diversi orientamenti sessuali.
Si rilevano, poi, tutta una serie di violazioni, sulla limitazione dei servizi della società dell’informazione transfrontalieri agli obblighi sulla trasparenza del mercato unico, alla libera prestazione di servizi e sulla libera circolazione delle merci. La Commissione ritiene che in questi campi che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Ue, le disposizioni ungheresi violino anche la dignità umana, la libertà di espressione e di informazione, il diritto al rispetto della vita privata nonché il diritto alla non discriminazione, e i valori previsti dall’art. 2 del Trattato dell’Unione.
Vi è poi la questione dell’obbligo di disclaimer (ossia di svincolo di responsabilità) da parte degli editori per la pubblicazione di contenuti in merito a una divergenza dai “ruoli di genere tradizionali”. Un obbligo che, sostiene l’esecutivo Ue, limita la libertà di espressione degli autori e degli editori di libri e discrimina per motivi di orientamento sessuale in modo ingiustificato.
Alla Polonia, invece, viene contestato l’aver adottato in alcune regioni e comuni del Paese risoluzioni sulla creazione delle cosiddette ‘zone libere dall’ideologia Lgbt’, che violano il diritto dell’Ue in materia di non discriminazione per motivi di orientamento sessuale. “Nonostante un chiaro invito della Commissione a febbraio, fino ad oggi le autorità polacche non hanno fornito le informazioni richieste, omettendo manifestamente di rispondere alla maggior parte delle richieste”.
A marzo, per rispondere indirettamente all’iniziativa polacca il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione per proclamare l’Unione europea come zona di libertà per le persone Lgbtiq, sostenuta anche dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e dalla sua commissaria all’Uguaglianza, Helena Dalli, che più volte si sono espresse fermamente sul tema.
Si attende ora la reazione dei due governi, che in molti tra i leader europei iniziano a vedere bene al di fuori dell’Ue. L’impressione è che si vada per le lunghe e che al tema dei diritti fondamentali si intreccino le questioni sullo stato di diritto. Che sono distinte ma che riguardano entrambi i Paesi coinvolti e che possono incidere sull’erogazione dei fondi Ue.
Come la questione della valutazione degli strumenti di controllo nel pnrr ungherese, la questione del pluralismo dei media in Polonia o l’ultima contesa aperta con Bruxelles dalla sentenza del Tribunale Supremo polacco, secondo cui le misure disposte dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nel funzionamento della magistratura sono incompatibili con la Costituzione polacca. Questione, questa, su cui la Commissione si è detta “profondamente preoccupata”.(LaPresse)