Gli italiani sono un popolo di contemporanei, scriveva Ugo Ojetti. Non hanno memoria perché non studiano la Storia, e tendono a ripetere gli stessi errori facilmente come capita a coloro i quali vivono come se non avessero né ascendenti né discendenti. Gli abitanti del Belpaese, politicamente parlando, vivono alla giornata, percorrendo le strade dell’utilità e del benessere quotidiano senza curarsi eccessivamente del bagaglio entro il quale custodire le esperienze storiche ed una precisa scala di valori. Insomma: sono apolidi alla perenne ricerca delle migliori condizioni di vita senza l’ausilio della memoria e della coerenza ideale. Sono, quindi, naturalmente inclini a consumare l’esistenza consapevoli del soddisfacimento dei bisogni quotidiani e, come tali, destinati a finire abbindolati dal primo demagogo che passa. Ingrati quanto basta, votano e sostengono la politica delle promesse, del beneficio immediato, quella che accontenta i contemporanei e addossa ai posteri l’onere di porvi rimedio. Animo levantino e perspicace furbizia costituiscono i tratti distintivi di un popolo che si appassiona più alle regioni dei contendenti che al valore e alla natura delle contese. In parole povere: fatta l’Italia occorre ancora fare gli Italiani. Gente che resta troppo indolente, per dividersi, troppo litigiosa per unirsi. Tuttavia, per quanto questo modo di essere sia diventato largamente condiviso, quando c’è da “acchiappare” non si tirano indietro, a qualunque latitudine dello Stivale essi vivano. Sciocchi però non sono ed è per questo che spesso cambiano i riferimenti politici, senza mutare le proprie aspettative. Insomma come nella favola dei fratelli Grimm aspettano un pifferaio magico che allontani i topi (i pericoli), apportatori di peste, dalla città, salvo poi dimenticarsi di pagare le spese del beneficio ricevuto. Nella prima repubblica si barcamenavano tra i democristiani e i laici socialisti, perennemente al governo, per ottenere prebende e favori, salvo poi protestare, se non soddisfatti, votando la destra missina oppure la sinistra comunista. Forze di opposizione,queste ultime, che la politica del cosiddetto “arco costituzionale” escludeva dal governo del paese. Altri tempi quelli, poi sfociati nella seconda repubblica allorquando, caduto il pregiudizio anti comunista, per defezione storica della stessa ideologia, si affidarono alle suadenti promesse del Cavaliere Silvio Berlusconi. Questi disceso in campo per non consegnare il Paese, e il corollario delle sue aziende e dei vasti interessi ad esse connessi, nelle mani degli eredi del Comunismo. Dall’eloquio suadente, aspetto illuminato almeno quanto lo fu dai riflettori e dal cerone che ne faceva risplendere la figura, quando questa appariva sugli schermi delle sue emittenti, re Silvio conquistò la maggioranza gli elettori. Affascinava la sua idea che l’Italia potesse diventare una moderna democrazia liberale, in un quadro di alternanza al governo tra forze che si contendevano il premio di maggioranza all’interno del sistema elettorale di tipo europeo. Una democrazia che doveva modernizzare il sistema politico istituzionale, limitare l’ingerenza della burocrazia parassitaria, il potere di uno Stato pervasivo ed inefficiente al tempo stesso. Una prospettiva, travolta, dopo vent’anni, dai vizi e dai guai giudiziari di Berlusconi e dalla lotta extra parlamentare che la sinistra ha organizzato contro di lui, attraverso la giustizia politicizzata ad opera della magistratura compiacente se non complice. In seguito gli Italiani si sono innamorati di un altro pifferaio, quello matto, a cinque stelle, che invocava una rivoluzione anti sistema e la promessa di elargire redditi (di cittadinanza) ai senza lavoro. Fu quella l’era dell’odio sociale e delle menzogne che distorcevano la storia politica italiana inondandola di qualunquismo e moralismo. Dopo un decennio anche la favola delle cinque stelle ha avuto il suo epilogo dopo essere passata al vaglio delle cose concrete. Oggi si naviga a vista, tra nani e ballerine. Cosi rivedere apparire il Cavaliere di Arcore sugli schermi delle tv che lancia appelli per realizzare un nuovo sogno liberale e libertario, è un qualcosa di straordinario che lascia veramente perplessi. Ancorché invecchiato e consunto dalle precedenti esperienze, l’ex premier rilancia, infatti, il suo modello: il sogno di un Italia radicalmente rinnovata e uno Stato meno pervasivo nella vita di ciascun individuo. Meno tasse e più libertà. Chiede aiuto al popolo immemore del proprio passato e rilancia argomenti già consunti e contraddetti dalla sua stessa storia, dalla ventennale esperienza del suo agire come capo del governo. Silvio, insomma, punta a ripristinare un clima di consenso alla immagine ed alle proposte di stampo liberale che furono le sue carte vincenti nel secolo scorso. Allora però aveva al suo fianco uomini di cultura, economisti di fama, la rete di consensi degli imprenditori stufi di uno Stato padre e padrone. Oggi difficilmente trainerà proseliti con una residuale banda di acritici cortigiani e qualche mezza soubrette. Pifferaio senza piffero.
*già parlamentare
© RIPRODUZIONE RISERVATA