Napoli. Associazione per le truffe, sette arresti

Gli investigatori: la mente del gruppo era nel carcere di Poggioreale

NAPOLI – Un’associazione finalizzata alle truffe: sette arresti e un obbligo di dimora all’alba di ieri. La mente era nel carcere di Poggioreale e usava cellulari detenuti illegalmente per coordinare i raggiri. Ordinanza di custodia cautelare notificata, tra gli altri, a Gennaro De Simone, 34 anni, Francesco Russo, 28 anni e a Domenico Sorrentino, 37 anni. Dagli uffici della questura fanno sapere che gli indagati sono indiziati dei delitti di associazione a delinquere finalizzata al compimento di truffe. Alcuni abitano a Napoli, altri nella zona tra Portici ed Ercolano. Le indagini sono partite da una denuncia presentata agli inizi dello scorso anno da un cittadino della provincia di Perugia il quale, dopo aver messo in vendita il proprio orologio di significativo valore, su un noto sito internet e-commerce, era stato contattato da un soggetto che aveva manifestato interesse all’acquisito. Raggiunto l’accordo, l’orologio veniva pagato con un assegno circolare di oltre 8.000 euro, risultato poi falso. I successivi accertamenti venivano delegati da questa Procura al Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica Polizia Postale e delle Comunicazioni di Perugia; gli approfondimenti svolti consentivano alla componente specialistica della polizia di Stato di individuare un presunto sodalizio criminale composto da uomini e donne – legati tra loro anche da vincoli parentali – ognuno con compiti ben delineati, in grado di acquistare accessori di lusso (generalmente orologi di valore) con assegni circolari falsi. A capo del sodalizio gli investigatori individuavano un soggetto attualmente detenuto presso il carcere di Poggioreale, che nonostante lo stato di detenzione riusciva, attraverso l’uso di cellulari dei quali era illecitamente in possesso, a dirigere il gruppo, e a tenere i contatti, non solo con i sodali, ma anche con le vittime. L’attività illecita, basata su modalità consolidate e ripetitive, avrebbe consentito la perpetrazione di circa 50 truffe. Sempre la questura spiega che il modus operandi dell’associazione – comune e collaudato – è risultato il seguente: una prima fase di ricognizione”delle piattaforme di e-commerce, consentiva di individuare sia l’oggetto di valore nonché gli inserzionisti degli annunci di vendita: la seconda fase era quella del contatto telefonico, che avveniva prima attraverso la messaggistica del sito e poi attraverso contatti WhatsApp; acquista telefonicamente la fiducia del venditore e al fine di rendere maggiormente credibile la bontà della proposta di acquisto, gli indagati indicavano come luogo di incontro per lo scambio dell’orologio la filiale della banca della vittima, ove cioè sarebbe stato incassato l’assegno circolare. Prima di incontrare il venditore gli indagati predisponevano i titoli falsi recanti i dati della banca emittente, l’importo stabilito ed il nominativo della vittima; attivavano utenze telefoniche VoIP (con prefissi geografici 02, 051, 0742 etc..) da inserire nel motore di ricerca Google in maniera da farle apparire come numerazione degli istituti bancari che avevano emesso – in apparenza – i falsi assegni (in caso di contatti da parte delle vittime, rispondevano sedicenti impiegati dell’istituto di credito con il compito di rassicurare l’interlocutore circa la bontà del titolo). Inoltre creavano false pagine internet delle filiali bancarie che risultavano aver emesso il titolo nelle quali comparivano i numeri di telefonico VoIP sopra indicati; infatti, chiamando tali numeri – rispondevano o il soggetto detenuto, in via prioritaria, oppure una donna i quali, fingendosi impiegati della banca, fornivano all’interlocutore garanzie verbali relative sia all’autenticità dell’assegno nonché alla relativa provvista. Definiti tutti gli accordi della trattativa veniva concordata la data e l’ora dell’incontro, incontro al quale gli indagati partecipavano con falsi documenti di identità. L’assegno circolare veniva consegnato al personale bancario il quale, accertata l’esistenza sui siti internet della filiale emittente il titolo, individuata l’utenza e dopo aver ricevuto garanzie telefoniche, lo poneva all’incasso. Conclusa la compravendita ed entrati in possesso degli orologi, gli indagati facevano perdere le proprie tracce.

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